Scrivere di Roberto Bolaño ormai non è facile. Perché lo è troppo: lo scrittore cileno è molto letto o almeno molto citato e in salse non sempre digeribili. Scrittore amato da scrittori e lettori forti (così si chiamavano fino a poco tempo fa, ora la locuzione crea qualche imbarazzo), anche per quelli più deboli Bolaño sembra fatto apposta per fornire l’illusione di attraversare (o di alludere a) mondi decentrati, collassati, improbabili eppure gli unici possibili: i nostri insomma. Con la sensazione – non abusiva – di cogliere il lato oscuro, rimosso nella condizione che per troppi anni è stata definita post-moderna. Ricorrere alla suddetta categoria a dir la verità deprime, e per la noia e l’abuso e la genericità del termine. Ciononostante vi insiste uno studio introduttivo di qualche anno fa, e solo da poco tradotto da noi per i tipi di Arcoiris, di Chiara Bolognese, Piste di un naufragio, Cartografia di Roberto Bolaño, leggibile come introduzione allo scrittore cileno. Di Bolaño vengono descritte in breve le tappe biografiche fondamentali, la formazione, ciò che in ambito accademico si definisce ancora poetica e le linee tematiche essenziali – diciamo, per chiudere con gli elementi di perplessità suscitati dal volume che essi riguardano soprattutto opzioni interpretative tipiche di letture accademiche (il lavoro è la tesi di dottorato della studiosa), ansiose di recuperare categorie e classificazioni storiografiche (come il postmoderno, appunto, che oltre a essere nozione opaca in sé se, presa alla lettera per quello che pure pretende di definire univocamente rischia per esempio di non cogliere appieno le differenze fra un divertissement – non privo di implicazioni serie – come La letteratura nazista in America e un libro capitale come 2066, riconosciuto come tale dalla stessa Bolognese).Il piglio accademico risulta facilmente esibito nell’utilizzare concetti o idee forti che però stanno esaurendo la loro forza propulsiva teorica – si vedano i riferimenti a studiosi come Bauman o Augé.
Detto questo, Bolognese ha buon gioco nell’individuare alcuni tratti essenziali dell’affaire Bolaño (non si legga l’espressione come ironica, tutt’altro: è che quando si diventa scrittori di culto l’esercizio critico traballa). Bolognese rileva a proposito la radicale frattura con il sudamericanismo dei Garcia Marquez; se Bolaño riteneva Nessuno scrive al colonnello “un libro semplicemente perfetto” si dichiarava spesso infastidito dagli atteggiamenti e dei rivoluzionari in pantofole e dei grandi – oltre a Marquez, un Vargas Llosa – ossessionati dal culto di se stessi. Per non dimenticare la durezza di giudizio del nostro nei confronti di mediocri quali la Allende e Sepulveda. Quanto ad alcuni temi inevitabili della poesia e della narrativa dell’autore di Detective selvaggi, Bolognese indaga innanzitutto quello dello sradicamento (dalla contingente esperienza dei sudamericani estranei alle dittature a un più generale senso di smarrimento che è dell’uomo occidentale, che sia il colto letterato o il più miserando dei picari) e dunque dell’esilio – variamente declinato. Con essi, va da sé, il viaggio quale condizione inevitabile dell’uomo contemporaneo ma priva ormai di illusioni (si gira spesso a vuoto e latitano gli uomini disposti a credere a una qualche redenzione); e ancora, un’immane fantasmatizzazione della realtà tutta, del paesaggio come delle cose e delle persone; una letteratura che privilegia lo sguardo su personaggi sbandati, marginali e scrittori (o poeti: buoni o farlocchi).
Vite che vacillano quelle di Bolaño, esistenze in cui il concetto stesso di tempo non ha più molto a che fare con un decorso lineare, in cui perciò stesso un romanzo di formazione appare inconcepibile sebbene se ne avverta la mancanza (il vuoto di cui è spia è lo stesso che uno scrittore come Bolaño tenta di riempire – salvezza e radice insieme di una disperazione sempre prossima: la letteratura). Vale per la storia ciò che salta agli occhi nella geografia: se il Messico o in misura minore il Cile (o persino Parigi) tornano nei suoi romanzi ciò accade come in un orizzonte allucinato, periferico, inospitale. Una realtà infernale, scrive giustamente Bolognese, che la dimensione frattale complica ulteriormente: come dire un mondo (il presente) abbacinato, rovinoso, abissale, senza fare letteratura di genere. Un invito a leggerlo se qualcuno ancora non lo avesse fatto, ecco. Assieme a uno scrittore minore, Horacio Quiroga (1878-1937), apprezzato da Bolaño, di cui lo stesso editore Arcoiris ha appena fatto tradurre il racconto I perseguitati (a cura di Giulia Zavagna).
Autore: Chiara Bolognese
Titolo: Piste di un naufragio. Cartografia di Roberto Bolaño
Edizioni: Arcoiris
Pag: 328
Euro: 14,00