Il cinema del terzo millennio di Franco Marineo (Einaudi) arriva in libreria in un momento in cui pare avvertirsi l’esigenza di capire quale sia lo stato dell’arte – persino se e in che modo possiamo parlare ancora di arte parlando di cinema. Se esso mantenga la centralità mitopoietica che è stata del secolo scorso (il divismo, intanto, com’è stato notato da più parti, non sembra più granché in grado di trascinare le folle) o ancora se, al di là del mero spettacolo per combriccole chiassose o della confezione elegante per un pubblico più compito (ma ormai in sala, e non da oggi, e anche nei cinema migliori, non sta più zitto nessuno) lo si sia consumato del tutto secondo destino prima o poi in agguato per qualsivoglia “leccalecca sociale” (Carmelo Bene dixit).
Come accade anche nel volume collettaneo Cinema Senza Fine, la critica, compresa quella di Marineo, che investigando sul cinema contemporaneo tende a escludere esiti apocalittici, parte dall’assunto che esso sembra inseguire traiettorie sempre più centrifughe, “linee di tensione” come le chiama l’autore del saggio einaudiano, linee che esplorano tracciati differenti non senza intersecare mezzi, modalità narrative e condizionate possibilità di fruizione che evidentemente hanno oltrepassato da un pezzo l’apporto di linguaggi classici come la letteratura o il teatro. Il cinema s’incrocia, e non sarebbe potuto essere diversamente, ormai costantemente con altri media visuali sia quanto a influenza di partenza sia per ciò che riguarda l’esperienza (di arrivo) della visione.
Se alla seduzione del videogame, al fiancheggiamento ipercompetitivo delle serie televisive, alla poetica del frammento scheggiato a tutta velocità, aggiungiamo la potenza ormai classica di Bollywood, e il fremito tutto giovanile di Nollywood (diremmo – parafrasando lingue oggi davvero dominanti – “industria leader del settore a livello mondiale”: e parliamo della Nigeria), per strade diverse Marineo intende evidenziare i segnali di uno sfrangiamento dei codici estetici e dei confini geopolitici cui siamo abituati. Molti nel libro sono i film rappresentativi dell’ultimo quindicennio utilizzati come exempla non necessariamente alla luce della loro qualità estetica, della mera riuscita per altro opinabile dei film (“qui non ha alcun peso lo status autoriale”) quanto della loro rappresentatività in ordine a un discorso, a una condizione indicativa di un passaggio storico assai incerto.
Così, dal Fight club di David Fincher (dal romanzo di Chuck Palahniuk) che accentra motivi decisivi del mondo occidentale e capitalista di fine millennio al cinema come “atto del sognare” (e non sua mera rappresentazione) nel Lynch di Mulholland Drive, si trascorre agli “universi paralleli” di un cinema tutt’altro che relegabile nell’ambito “minore” come quello disegnato da Miyazaki, all’attenzione non patetica ma lucida e spiazzante verso il mondo della memoria anche alla luce delle neuroscienze di un film come Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry o, più lateralmente – ma con effetti che molto hanno da dire sul rapporto inquadratura-percezione dello spettatore – come Millenium Mmbo di Hou Hsiao-hsien; o ancora, l’interesse per un altro film di animazione come Valzer con Bashir che sul tema tutt’altro che nostalgico della memoria ritorna con durezza. Così come traiettoria obbligata sembra quella della violenza, a partire da alcuni titoli di Cronenberg, Michael Mann, Inárritu, Coen (ai quali Marineo ha a suo tempo dedicato uno studio particolare). L’impressione resta tuttavia che il cinema si stia trasformando in qualcos’altro, specie alla luce di quella “transizione fondamentale da una dimensione spettatoriale a una realtà partecipativa” che se apre verso una “sorta di transitoria democratizzazione dell’accesso al mondo del racconto” scompagina adusi paradigmi della classica ricezione verticale in una proliferazione senza pause di racconti intorno al racconto (come nella “mitologia” internettiana costruita a partire da Lost… e che non si tratti propriamente di cinema non impedisce una stretta relazione con un medium alla ricerca di nuove vie). Il terzo millennio è ancora tutto da venire.
Franco Marineo, studioso di cinema americano contemporaneo, insegna Storia del Cinema e del video all’Accademia di Belle Arti di Palermo. Ha pubblicato Il cinema dei Coen (Falsopiano, 1998) e Face/On. Geografie e narrazioni del volto nel cinema (Rizzoli, 2005).
Autore Franco Marineo
Titolo Il cinema del terzo millennio
Editore Einaudi
Anno 2014
Euro € 26,00