Con il bellissimo “Morte di un uomo felice” (Sellerio 2014, appena entrato nella cinquina del Campiello) Giorgio Fontana torna al tema della giustizia, già affrontato nel precedente “Per legge superiore” (sempre Sellerio). Protagonista anche qui è un magistrato, Giacomo Colnaghi, di Saronno, impegnato nella lotta al terrorismo rosso nella Milano di inizio anni ’80. Un uomo tranquillo, almeno all’apparenza, più che felice, Colnaghi indaga in particolare su una cellula scissionista delle Brigate Rosse responsabile dell’omicidio di un medico esponente della Democrazia Cristiana del capoluogo lombardo. Ha una moglie, due figli, pochi amici che incontra quando torna a Saronno nel fine settimana. Figlio di un partigiano morto quando Giacomo era molto piccolo. Al racconto della vita del magistrato in un’estate milanese, mentre cerca i responsabili dell’omicidio del medico, fanno da contrappunto i capitoli sulla vita e morte del padre quarant’anni prima.
Colnaghi non è un uomo tutto d’un pezzo. La sua è una ricerca di risposte, con alcuni punti fermi e molti dubbi. La sua giustizia non è granitica, fredda, e la legge non è severa e impassibile, ma sempre attenta all’uomo come nella sua frase preferita, “eccezioni sempre, errori mai”. Così nella ricerca dei responsabili dell’omicidio del medico c’è sempre da un lato il tentativo sofferto di capire i motivi per cui dei giovani possono arrivare a uccidere, in una rivoluzione che si rivela poi essere solo odio e desiderio di vendetta davanti a uno Stato ormai poco credibile. E dall’altro il tentativo di non diventare “uomo dell’ira”, di non farsi prendere dal desiderio di vendetta nei confronti di chi ha ucciso.
C’è in Colnaghi, sempre difficile, ottenuta a caro prezzo, la carità. Lo si vede soprattutto nell’interrogatorio-confessione con Gianni Meraviglia, il giovane responsabile dell’omicidio del medico. La stessa carità ispirata al magistrato, in un dialogo avvenuto tanti anni prima, da una professoressa di teologia: “Si tratta di perdonare senza chinare la testa di fronte all’orrore. Un assassino è colpevole, e il male va punito. (…) Ma senza carità, siamo perduti”. La giustizia dell’uomo sembra essere per Colnaghi sempre inadeguata: perché troppo rigida, o perché troppo piccola di fronte al dolore: “pensò che la giustizia doveva compiersi innanzitutto a livello intimo: ma per quanto vasti fossero i poteri di un uomo per rimettere un torto, non erano mai davvero all’altezza del dolore”.E allora qui, dice il magistrato, può arrivare in soccorso la fede.
Il protagonista del romanzo di Fontana non trova tutte le risposte, e il suo girovagare notturno per una Milano soffocata dall’afa, solitaria e triste, fatta di periferie, binari, treni per pendolari, corrisponde ad un incessante arrovellarsi interiore. Non solo sulla giustizia ma anche sul suo matrimonio un po’ stanco, sui figli che vede troppo poco, sulla nostalgia per il padre mai conosciuto. E nelle ultime due pagine – bellissime – nostalgia per la vita semplice che non potrà più vivere.
Giorgio Fontana è nato nel 1981. Ha pubblicato i romanzi Buoni propositi per l’anno nuovo (Mondadori 2007) e Novalis (Marsilio 2008), il reportage narrativo Babele 56 (Terre di Mezzo 2008) e il saggio La velocità del buio (Zona 2011) e per Sellerio Per legge superiore (2011). Vive e lavora a Milano.
Autori: Giorgio Fontana
Titolo: Morte di un uomo felice
Editore: Sellerio
Anno di pubblicazione: 2014
Pagine: 261
Prezzo: 14 euro