Riassettare l’impero, combattere Persiani e Alemanni alla bisogna, organizzare campagne militari in Gallia, morire in battaglia in maniera nemmeno tanto chiara: potrebbe essere una vicenda fra le altre della storiografia romano-imperiale.
Ma Giuliano – non a caso detto l’Apostata – tentò una battaglia ben più capitale; morì troppo presto per sperare di vincerla, ma non è facile congetturare che le sorti della storia futura sarebbero state diverse da quelle che conosciamo. Al nipote dell’improvvido Costantino non riuscì di impedire alla nostra disgraziata e meravigliosa Europa – e, senza poter immaginare la potenza storico-geografica della gittata, a gran parte del mondo – di prendere una direzione che tutti sarebbero liberi di considerare provvidenziale se non tentassero (e non avessero violentemente tentato nei secoli) di mettere a tacere le voci discordi. Flavio Claudio Giuliano (336-363) insomma, provò a ripristinare culti e pensiero pagano quando, nel quarto secolo d.C., il Cristianesimo aveva preso l’abbrivo per un trionfo – paradosso tutt’altro che entusiasmante – secolare.
La sua storia (Il mantello di porpora, La Lepre edizioni) ce la racconta un navigato interprete del romanzo storico, Luigi De Pascalis, attraverso la voce di Evemero, schiavo e segretario di Giuliano, adeguatamente reinventata. De Pascalis ricorre al vecchio espediente del manoscritto ritrovato (qui sono due gruppi di fogli di papiro), uno di Evemero e l’altro, molto più esiguo, del figlio.
Giuliano, prima di diventare imperatore, è un ragazzo volenteroso; gli piace studiare. Legge Omero e gli altri greci. Si avvicina al neoplatonismo. Si fa delle idee insomma, e quel che vede dei cristiani non gli piace affatto. “Nella religione del crocifisso i pochi ingannano i molti” dice al suo servitore, “costruendo fortune sul cadavere di un santo”. E ancora, “Il culto della sofferenza e lo stravolgimento del rapporto fra colpa e castigo attraverso il pentimento gestito dai sacerdoti sono veleni che uccideranno l’impero”. Il prudente Evemero segna tutto, annota con cura e ammirazione ogni pensiero del suo padrone. E ne mostra i piani militari, le strategie, i dubbi. E persino le premure affettive.
Sa quello che dice e quello che vuole, l’Apostata. Combattere un pensiero, quello cristiano, che gli sembra una malattia, che infetta lo Stato e lo avversa; l’ostracismo che esso dimostra rispetto alla cultura che noi conosciamo come “classica” è per lui all’origine del crollo difatti imminente dell’impero.
Ora, il senso parrebbe che la decadenza morale anticipi quella strutturale dell’economia – in questa narrazione ariosa e insieme raccolta intorno all’uomo Giuliano, De Pascalis cerca suggestioni e analogie (come spesso accade nel romanzo storico) fra quell’epoca e la nostra – che alla croce ha sostituito la Borsa e la Finanza. Non sapremmo rispondere. Non abbiamo certezze. Dovremmo forse ipotizzare che il “rampollo analfabeta di un artigiano” (così l’imperatore apostrofa Gesù) non immaginasse che anche la sua lotta contro i mercanti del tempio avrebbe potuto deviare verso l’ennesima eterogenesi dei fini?
Ogni lettore si farà le sue ragioni, ma un secolo dopo Benedetto Croce vorremmo, chi scrive e supponiamo l’autore, tanto dirci pagani.
Scrittore, pittore , illustratore e molte altre cose, Luigi De Pascalis è autore di romanzi storici e fantastici; ha pubblicato con La Lepre Edizioni il giallo storico Rosso Velabro, i romanzi La pazzia di Dio e Il labirinto dei Sarra, il noir fantascientifico Il Nido della Fenice, la graphic novel Pinocchio (vincitrice del Premio “Pinocchio di Carlo Lorenzini” nel 2012); La morte si muove nel buio invece con Mondadori (2013).
Autore Luigi De Pascalis
Titolo: Il Mantello di Porpora
Ascesa e caduta dell’imperatore Giuliano
Editore: La Lepre Edizioni
Anno di pubblicazione: 2014
Pag: 475
Prezzo: 18 euro