Non rappresenta un ritorno inatteso a un’impostazione marxista nei termini da tempo dismessi della coppia struttura-sovrastruttura il libro di Germano Maifreda I denari dell’inquisitore. Affari e giustizia di fede nell’Italia moderna, Einaudi, che rivede la storia dell’Inquisizione romana dalla specola del denaro.
Non lo è perché – lo chiarisce l’autore – la sua lettura del “funzionamento dei tribunali dell’Inquisizione non si propone assolutamente di schiacciare il loro operato sulla mera dimensione economica, ciò che sarebbe scorretto sotto il profilo epistemologico oltre che, allo stato attuale della documentazione e delle ricerche, rigorosamente indimostrabile”. Ma forse un libro del genere avrebbe destato meno stupore se fosse stato scritto mezzo secolo fa, quando ancora non si era buttato con la putrida acqua del socialismo “reale” ogni traccia di marxismo – laddove proprio ora che l’economia detta legge su ogni sfera della vita, il mondo della cultura tende a escluderla nei suoi studi dai fattori che determinano evenienze storiche e apparati simbolici di riferimento.
Senza minimamente voler forzare gli intenti dell’autore, di fatto però in questo libro che percorre la vicenda dell’Inquisizione romana dalla nascita della Congregazione del Sant’Officio (1542) alla fine del Settecento, si tratti di eretici o apostati o sodomiti o astrologi o scienziati e altro ancora, quello economico è ben più che “un risvolto” della faccenda.
Intanto, “i tribunali locali dovevano periodicamente rispondere degli esiti finanziari della loro amministrazione”. La confisca dei beni per esempio costituiva insieme mezzo e fine dell’attività inquisitoriale, una rilevante fonte di entrata da un lato e “un cruciale elemento di negoziazione politica e istituzionale fra l’Inquisizione e i governi secolari”, dall’altro. Si finanzia l’istituzione e, avrebbe detto Beccaria opportunamente ricordato da Maifreda, si condanna il reo a “una morte di fatto”.
La chiesa romana ridisegna in questo modo consolidati assetti sociali ed economici a proprio vantaggio. Se ciò può apparire ovvio, va precisato però che lo studio di Maifreda, attraverso un approccio rigoroso alle fonti e il vaglio di una gran mole di documenti inediti, mostra come spesso arrestare e processare qualcuno fosse innanzitutto un problema finanziario delle amministrazioni locali. L’inquisitore è anche un imprenditore: se incassa abbastanza, se mira giusto, potrà fare meglio il suo lavoro in seguito. Entra mondanamente in un orizzonte concretissimo di affari, crediti, patrimoni, gestione di beni immobili dove non mancano persino gli incentivi.
Pur tenendo conto delle debite differenze fra Italia Spagna e Portogallo, contrastare adeguatamente l’eresia significa per l’inquisitore innanzitutto amministrare denaro. Per non dire che al di là delle Alpi nel ‘500 è successo qualcosa di gigantesco che porta il nome di Riforma protestante e l’azione inquisitoriale svolge un ruolo non secondario nella vera e propria guerra che Roma è costretta a intraprendere per mantenere il primato politico, religioso ed economico almeno in Italia. La storia è molto complicata, la stessa progettualità procedurale conosce molte varianti storico-geografiche, e la parte economica s’intreccia necessariamente con il lavoro sulle coscienze. Lo studio di Maifreda rappresenta anche una fittissima esplorazione di queste varianti.
Germano Maifreda insegna Storia economica e sociale dell’età moderna e Storia dell’industria presso il Dipartimento di Studi storici dell’Università degli Studi di Milano. Tra i suoi lavori piú recenti ricordiamo From Oikonomia to Political Economy. Constructing Economic Knowledge from the Renaissance to the Scientific Revolution (Ashgate 2012), il manuale di storia per il triennio della scuola media superiore Tempi moderni. Storia, cultura, immaginario (Pearson – Edizioni scolastiche Bruno Mondadori 2012)
Autore: Germano Maifreda
Titolo: I denari dell’inquisitore – Affari e giustizia di fede nell’Italia moderna
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2014
Pagine: XX – 364
Prezzo: 32 euro