Villette

VilletteAccadde così perché Dio vide che era bene, con queste parole l’orfana Lucy Snowe, la protagonista dell’ultimo romanzo di Charlotte Brontë, Villette (Fazi 2013), pubblicato nel 1853, commenta la breve panoramica sull’esistenza della coppia felice, all’ombra della quale è sempre vissuta.

Nel momento in cui lo dice, Lucy non è vecchia, ma ha già vissuto abbastanza per sperimentare che per persone come lei, sprovviste di beni esteriori, il bene voluto da Dio consiste nella saggezza dell’accettazione: è come se fortuna e sfortuna fossero due facce della stessa medaglia, due modi di stare al mondo fra luci e ombre. Un’interiorità dimezzata è ciò che si paga, in cambio dei privilegi materiali, un’interiorità piena è ciò che si riceve in cambio di ciò di cui la sorte ci priva.

Filosofia spicciola o buon senso, tale visione del mondo consente a Lucy di sopravvivere dignitosamente, lei indigente e scialba fra persone ricche, arroganti o superficiali, circondata da affascinanti “amiche”, capricciose o egoiste: sbarcata dall’Inghilterra in un città straniera –Villette nella quale è riconoscibile Bruxelles- dove non ha né amici né parenti, diventa insegnante d’inglese in un collegio femminile dove dovrà fronteggiare l’ostilità della tirannica direttrice Madame Beck per via del suo legame affettivo con il di lei cugino il professor Emanuel. Il romanzo è il suo memoriale, nelle pagine del quale è facile riconoscere la razionalizzazione, nelle veste letterarie a lei più congeniale, del travaglio della stessa scrittrice in un momento particolarmente difficile in seguito alla morte in soli otto mesi del fratello e delle due sorelle.

Per sondare gli abissi, la Brontë nella sua eroina si priva del riscatto consolatorio che mestiere e cultura potrebbero ingannevolmente prospettarle. Certamente non ho un temperamento artistico, ammette infatti Lucy, tanto che l’intimità che si concede non offre quasi alcuno spazio all’astrazione lirica, al contrario il dialogo con se stessa assume la forma di un dimesso colloquio scaturito dalla necessita di misurarsi, marcandone le distanze, con il microcosmo del quale Dio l’ha chiamata a far parte.

Lucy si guarda vivere passivamente, agli altri appare fredda, concentrata com’è ad ascoltare i moti del proprio animo, imprimendo a sentimenti e pensieri un equilibrio impostogli da un temperamento plasmato fin dall’infanzia dalle difficoltà e dall’abbandono: la disperazione è latente, viene sospinta ai margini, ma essa è l’angelo delle tempesta che nell’ultimo capitolo si prende la scena, sigillando in prosa sublimela conclusione delle storia. Il cerchio si chiude tornando al punto di partenza, nella forzata abnegazione dei sentimenti e nell’amara constatazione della prosperità di coloro che ne paiono immeritevoli. Villette e la sua eroina tacciono dunque proprio nel momento in cui la loro azione persuasiva sarebbe più urgente: forse accadde cosi perché Dio vide che era bene è il lettore a doverlo dire, se ci crede ancora.

Charlotte Brontë (Thornton, Yorkshire, 1816 – Haworth, Yorkshire, 1855) È una delle maggiori personalità della letteratura inglese dell’Ottocento. Sorella delle scrittrici Anne ed Emily Brontë, compì studi irregolari e si dedicò all’insegnamento. Il suoi romanzi, dal celebre Jane Eyre al più tardo Villette, ottennero un clamoroso successo che dura tuttora.

Autore:Charlotte Brontë
Titolo: Villette
Editore: Fazi
Traduzione: Simone Caltabellota
Anno di pubblicazione: 2013
Pagine: 640
Prezzo: 14,90 euro