Il signore degli orfani (Marsilio, 2013) di Adam Johnson, vincitore negli Stati Uniti del Pulitzer 2013, adotta la formula classica del romanzo di formazione per restituire alla Corea del Nord del Caro Laeder Kim-Jong II un’anima, ovvero quel territorio invisibile precluso agli scabri resoconti delle inchieste giornalistiche.
E per rendere viva sulla pagina un’anima non è sufficiente fotografare la realtà depauperata in cui le circostanza storiche la obbligano: per quella bastano appunto reportage e telegiornali. Ma dove i documenti tacciono, sopperisce, integrandoli, la verosimiglianza dell’immaginazione letteraria: come si diventa uomini, pare chiedersi Johnson, in uno Stato totalitario, copia “perfetta” di quello previsto da Orwell in 1984? Ed ecco la storia di Jun Do, cresciuto in un orfanotrofio, figlio di una cantante lirica “desparecida”, rapitore al soldo dello Stato, destinato, usurpando l’identità del leggendario Comandante Go, a fare parte della cerchia dei potenti di Pyongyang e a diventare il marito innamorato della tormentata attrice Sun Moon, scoperta dal Caro Laeder.
Non si tratta di una biografia alla David Copperfield nel senso stretto del termine, i cui poli sono la caduta e la catarsi purificatrice. Il protagonista infatti vive in una sorta di parodia della realtà circondato da grottesche e patetiche caricature dove persino la salvezza dal Paese lager pare essere l’epilogo di uno dei tanti copioni, puerilmente patriottici, del Caro Laeder cinefilo..
A formare l’orfano Jun Do è l’esperienza delle escursioni nel tunnel della zona smilitarizzata fra le due Coree: qui egli comprende che se continui a tenere gli occhi chiusi, la mente ti fa vedere i film più pazzeschi, come quello di un cane che ti aggredisce da dietro. Ma con gli occhi aperti, l’unica cosa che devi affrontare è il nulla di ciò che stai in realtà facendo. Affrontare il nulla diventa essenziale per i popoli della distopia: nel tunnel o si tengono gli occhi chiusi mentre gli altoparlanti gracchiano le favole sulla più grande Nazione del mondo o si cammina ad occhi aperti, lottando contro il vuoto. E’ quest’ultima la strada presa dall’incolto Jun Do e da chi gli è affine: non una ribellione cosciente, giacché l’opposizione nasce più dal cuore che dalla ragione. Ciò significa sentire la voce della madre mai conosciuta e vederla sdraiata ad ascoltare i brividi di un soldatino moribondo, pur sapendo che, se immagini le persone scomparse, esse ti perseguiteranno quando sei solo nel buio. E significa anche per un padre e un figlio, costretti forse un domani alla delazione reciproca, dentro…tenersi per mano o per i marinai fantasticare su due Vogatrici americane che remano nude nell’oscurità dell’Oceano. Ed infine è sapere che scappare via di nascosto dalla fonderia per un’ora per andare a correre con gli altri tra i mucchi di scorie, anche se c’erano guardie dappertutto..,è la più pura delle libertà? Quella che chi abita nel cosiddetto mondo “libero” ignora.
Adam Johnson(1966) vive a San Francisco e insegna scrittura creativa alla Stanford University. I suoi racconti sono stati pubblicati su riviste come Granta, Esquire, The Paris Review, Best New American Voices e Best American Short Stories. Vincitore del Whiting Award e del National Endowment for the Arts Fellowship, nominato Debut Writer of the Year da Amazon, è uno dei pochissimi americani ad aver visitato la Corea del Nord. La stesura de Il Signore degli Orfani, finalista al National Book Critics Circle Award, ha richiesto un lavoro preparatorio di ricerca durato sette anni. Dopo l’incredibile successo negli Usa, è in uscita in 12 Paesi.
Autore: Adam Johnson
Titolo: Il signore degli orfani
Editore: Marsilio
Traduzione: Fabio Zucchella
Anno di pubblicazione: 2013 ( 2° edizione)
Pagine: 560
Prezzo: 21 euro
*articolo di Augusto Leone