È sempre Una questione di principio (Giuffrè 2013) per l’avvocato romano Alessandro Gordiani nato da una felice intuizione del suo creatore lo scrittore Michele Navarra non a caso anche lui avvocato. Nel terzo romanzo che vede protagonista il meticoloso Gordiani, una giovane donna è stata brutalmente uccisa all’interno del suo appartamento.
“Federica, ventuno anni da qualche giorno, stava morendo e ne era consapevole”. Un uomo vestito con classe all’apparenza rassicurante si era introdotto con l’inganno nell’abitazione della giovane situata in via della Farnesina. La voce del pericolosissimo assassino seriale da calma era diventata violenta. Federica Tassi era stata picchiata, brutalmente violentata e infine pugnalata. Riversa per terra in un lago di sangue la ragazza morente aveva a malapena sentito la voce di Marco Torregrossa il suo ex fidanzato che era entrato dalla porta lasciata aperta dal serial killer in fuga. Dopo aver constatato il decesso di Federica, il ventiquattrenne non aveva chiesto soccorso e non aveva nemmeno chiamato la polizia. “Troppe cose da spiegare”.
Marco, laureando in Giurisprudenza, sapeva che presto sarebbe finito nei guai. In guai seri. Per colpe non commesse. “Federica era morta ammazzata. E avrebbero accusato lui”. Solo Alessandro Gordiani poteva salvare Marco dall’ergastolo, perché l’avvocato quarantaduenne integerrimo, fin troppo pignolo e sempre assalito da molti dubbi conosceva lo stato fragile della giustizia italiana, quel meccanismo a volte imperfetto la cui perfetta metafora è l’imponente mole del Palazzo di Giustizia romano.
Si dice, infatti, nella Capitale che il tempio del diritto soprannominato dai romani er Palazzaccio a causa dell’enorme peso dovuto ai materiali con cui era stato costruito, oltre alla sua vicinanza al greto del Tevere, “stesse sprofondando, lentamente ma in modo inesorabile”. Anche per il Capitano dei Carabinieri della Caserma di Ponte Milvio Andrea Gavazzo “un giovane gigante di colore” catturare “il serial killer delle studentesse” diventava una questione di principio, e l’ufficiale ci teneva molto a non venir meno ai suoi principi. Mai fermarsi di fronte alle apparenze perché Gavazzo, dalle grandi capacità investigative, intuiva che chi aveva commesso l’omicidio era un soggetto con gravi turbe psichiche, quindi “qualcuno che nutriva un odio profondo e viscerale nei confronti di tutte le donne”.
Un romanzo avvincente costellato da citazioni di film, libri e canzoni, redatto da un avvocato/scrittore autentico, vero, che sa toccare parecchie corde, quelle del sentimento, della ragione e dell’ironia, il che non guasta. Con la serie dedicata all’avvocato Alessandro Gordiani che ha “un approccio giurassico con la tecnologia” Navarra ha vinto numerosi premi letterari che testimoniano il talento di un autore sensibile e intuitivo che nulla ha da invidiare ai re del legal thriller di lingua inglese. Provare per credere. “Ho la costante paura di sentirmi troppo bene, troppo soddisfatto di me stesso, troppo lanciato. Il terrore di diventare imprudente, tracotante, di alzare eccessivamente la testa. Gli antichi filosofi greci la chiamavano iubris, se non sbaglio. Sfidare gli dei. In realtà, si stratta sempre del solito problema. Mi sembra di non meritare d’essere felice”.
Avvocato Navarra, perché in apertura del romanzo appare un verso della canzone Peppino di Antonello Venditti?
Si tratta di una canzone che parla del filo conduttore che lega un genitore al proprio figlio. “Un padre e figlio, con un solo abbraccio, squarciano il tempo, vanno oltre lo spazio” sono alcuni dei versi della canzone. Desideravo evidenziare il profondo legame che il protagonista del mio romanzo ha con la sua famiglia d’appartenenza e, in qualche misura, con quella “nuova” che sta nascendo sotto i suoi occhi. Non a caso, ci sono tanti altri riferimenti nel romanzo all’esigenza, ripetutamente sentita da Alessandro, di appoggiarsi a qualcuno più forte ed esperto di lui, di essere nascosto e protetto dalle difficoltà e dalle brutture del mondo. Cosa che nessuno meglio di un padre o di una madre è in grado di fare. Poco prima dell’arringa conclusiva, tanto per fare un esempio, ad Alessandro torneranno in mente le parole del padre, prematuramente scomparso, del cui sostegno, soprattutto morale, sente con forza il bisogno e col quale vorrebbe avere un confronto. Ed anche in quel caso, ho voluto ancorare la ricerca di un dialogo che, per forza di cose, non potrà più esserci, alle parole di una canzone, Anima Grande di Renato Zero, attraverso le quali una voce ormai lontana nel tempo torna, come per magia, a riprendere consistenza fisica.
Molti lettori saranno curiosi di sapere se i pregi e i difetti di Gordiani siano anche i suoi.
Credo di sì, almeno in linea di principio. Per certi versi, ritengo sia inevitabile che un autore finisca per condividere col protagonista del suo romanzo alcuni aspetti caratteriali comuni. Insomma, è più facile parlare di ciò che si conosce meglio, o che almeno si dovrebbe conoscere meglio: se stessi. Devo riconoscere, tuttavia, che, col procedere della scrittura, Alessandro ha acquisito una fisionomia propria, sempre più indipendente rispetto al modello di partenza. E probabilmente è giusto così. Oggi, arrivati ormai al terzo romanzo della serie, Alessandro Gordiani è una persona quasi del tutto distinta da quella del suo “creatore”.
Perché nel libro ha definito Andrea Gavazzo come “un ufficiale dei carabinieri da romanzo”?
Per un motivo semplicissimo: perché il capitano Gavazzo è un personaggio da romanzo! Ho sempre provato un enorme rispetto per l’Arma dei Carabinieri. Non vorrei sembrare banale, ma non mi sono mai piaciute troppo le barzellette e le facili battute sui carabinieri. Nella stragrande parte dei casi, si tratta di uomini molto in gamba e la mia ultraventennale esperienza sul campo me l’ha confermato. Posso dire che non mollano mai la presa e quasi sempre svolgono il loro dovere con grande equilibrio, senza dimenticarsi della loro “missione” di partenza, che, in buona sostanza, è quella di proteggerci. Fatta questa premessa, però, è chiaro che un ufficiale come Andrea Gavazzo possa risultare decisamente “sopra le righe”, come soltanto il personaggio di un romanzo può permettersi di essere. Basti pensare che Gavazzo, sebbene italianissimo (è nato al Policlinico Gemelli), è un capitano dei carabinieri… di colore! E non aggiungo altro!
Qual è stata la Sua formazione letteraria giovanile?
Come lettore, fin da piccolo, sono sempre stato onnivoro. Mentirei se dicessi che c’era un genere letterario che preferivo rispetto a un altro. Leggevo tutto ciò che mi capitava tra le mani, dai grandi classici alle schifezze più terribili. Non so nemmeno io come riuscissi ad arrivare fino in fondo a certi romanzi letteralmente illeggibili! Adesso ho molto meno tempo a disposizione, ma fino a una decina d’anni fa, il “fuoco della lettura” mi divorava. Alle volte mi capitava addirittura di trascorrere la notte insonne pur di terminare un romanzo. Certo, a essere proprio sinceri, tra Wilbur Smith e Yasunari Kawabata preferivo il primo…
Possiamo dire che la professione di avvocato per Lei rappresenta la ragione e la scrittura invece il sentimento?
In linea di massima sì, sebbene in alcuni processi possa capitare che i sentimenti giochino un ruolo molto importante, per non dire preponderante. E, d’altra parte, anche nella scrittura è necessaria una buona dose di “ragione”, di “razionalità” per essere precisi, dato che la struttura logica e argomentativa della narrazione deve comunque seguire canoni ben definiti. In buona sostanza, almeno per quanto mi riguarda, direi che “ragione e sentimento” spesso finiscono per essere due facce della stessa medaglia, indissolubilmente commiste sia nella mia attività di avvocato che in quella di scrittore. Del resto, un avvocato senza sentimento risulterebbe, secondo me, asettico e poco efficace, così come, allo stesso modo, risulterebbe incongruo uno scrittore che si lasciasse trasportare e guidare soltanto dalle proprie emozioni personali, dai sentimenti appunto, incurante della coerenza e della verosimiglianza della narrazione. Ma forse sono io a essere troppo razionale… In fondo, l’unico vero giudice resta, e sempre resterà, il lettore!
Michele Navarra è nato il 22 settembre 1968 a Roma, dove vive e lavora come avvocato penalista da più di vent’anni. Il suo romanzo d’esordio, L’ultima occasione (novembre 2007) che ha segnato la nascita del personaggio dell’avvocato Alessandro Gordiani, oltre ad aver ottenuto numerosi riconoscimenti è andato in ristampa per nove volte in poco meno di due anni. Il suo secondo romanzo Per non aver commesso il fatto (pubblicato in questa stessa collana nel 2010) è risultato vincitore di sette premi letterari, tra i quali quello specialistico bandito dalla “Legal Drama Society” (Milano 2009), ottenendo altresì un grande successo di vendite e pubblico. Una questione di principio è il suo terzo romanzo con protagonista l’avvocato Alessandro Gordiani e si è classificato al primo posto nella sezione romanzi inediti del prestigioso premio letterario Città di Trieste – Festival del Cinema, Teatro e Letteratura (2011).
Autore: Michele Navarra
Titolo: Una questione di principio
Editore: Giuffrè
Pubblicazione: 2013
Prezzo: 19 euro
Pagine: 279