L’assassino, coprotagonista del romanzo Il silenzio del carnefice ( Editrice Nord, 2013) di Jørgen Brekke, non riesce a dormire, uno sciame di mosche si è insediato nella sua testa e le rare volte in cui chiude gli occhi, i suoi sono incubi: vede la bara del padre trasportata nel cielo da una schiera di guerrieri che si muovono al ritmo di una melodia. Eppure quella musica udita in sogno esiste nella realtà, egli ne conosce il potere ammaliante e liberatorio: si tratta infatti di un’ antica ninnananna suonata da un carillon che promette la pace del sonno a chiunque l’ascolti. Farla funzionare a dovere, però, non è facile: bisogna trovare una voce femminile che la intoni, estirpare le corde vocali dal corpo di donna cui appartengono e attendere l’agognata quiete.
È questa dunque la genesi del crimine: una mente sconvolta. Del male efferato pertanto i meccanismi si decodificano, ma se ne constata nel contempo l’assenza di motivazioni razionali: non troveremo mai un modello scientifico che possa spiegare la malvagità, dice lo psichiatra al detective Singksaker in cerca di lumi. Coerente con tale assunto, Brekke non fornisce al suo aspirante mostro l’alibi di un contesto sociale: i corpi della donna martoriata e le apparizioni notturne dell’omicida davanti alla porta dei genitori della vittima costituiscono un’infrazione inaspettata alla pace del borgo, la cittadina norvegese di Trondheim, dove i poliziotti amano passeggiare assieme ai civili o ritemprare il corpo stanco con bagni nell’acqua ghiacciata.
Ma la maledizione ha radici lontane, prima di colpire si è nascosta per secoli ai margini, negli archivi polverosi delle biblioteche e nei musei. Cosi nel crimine odierno si avverte l’eco di un passato remoto e Brekke imbastisce in parallelo alla vicenda ambientata nella contemporaneità quella del musicante Joe Blunt trovato morto dal sovrintendente della gendarmeria della medesima cittadina di Trondheim nel 1767.
Cosa lega il delitto avvenuto secoli addietro con le spietate mutilazioni della giovani donne di oggi? Sottopelle alla spiegazione logica fornita in conclusione dalla trama, l’unica risposta autentica è il nulla negli occhi del carnefice. Tanto più che i difensori dell’ordine hanno identità fragili, devastate in profondità o da un operazione al cervello o da rapporti sentimentali non risolti appieno o da un propensione all’alcool: ne Il silenzio del carnefice Singsaker e Nils Bayer, il suo collega del ‘700, vivono, senza appigli ideologici o religiosi, una tranquillità assediata ciclicamente da minacce; essi, come la maggior parte degli antagonisti del disordine della letteratura gialla contemporanea da Wallander a Montalbano, rivelano una sicura parentela con gli inetti del grande romanzo europeo del 900’. Sarebbero tentati anche loro di crogiolarsi nel loro saggio disincanto, solo che non possono più cambiare mestiere.
Jørgen Brekke è nato e cresciuto a Horten, in Norvegia, e vive a Trondheim con la moglie e i figli. Nonostante gli studi scientifici, la parola scritta l’ha sempre affascinato, al punto da indurlo ad affiancare al suo lavoro d’infermiere quello di giornalista. La biblioteca dell’anatomista ha ottenuto un enorme successo in Norvegia, coronato dall’assegnazione del premio Norli 2011 come miglior romanzo d’esordio.
Autore: Jørgen Brekke
Titolo: Il silenzio del carnefice
Editore: Editrice Nord
Traduzione: Alessandro Storti
Anno di pubblicazione: 2013
Pagine: 322
Prezzo: 16,60 euro
*articolo di Augusto Leone