Sono tante le storie che si intrecciano nel romanzo dello scrittore israeliano Sayed Kashua, Due in uno (Neri Pozza, 2013): alcune restano nell’ombra, sintetizzate in una frase o in un’immagine, due invece vengono messe a fuoco nei dettagli intimi dall’obiettivo dell’autore, quella dell’avvocato in carriera e quella del giovane assistente sociale, Amir, l’uno ricco ed integrato, l’altro senza mezzi ed emarginato, accomunati dalla medesima origine in un villaggio anonimo del” triangolo” arabo. Entrambi recepiscono se stessi come “corpo estraneo” in una metropoli, Gerusalemme, forzata dalla Storia a essere” Stato per due popoli” e divisa al suo interno da barriere, morali e materiali, invalicabili. Del professionista realizzato viene illuminato il percorso di smarrimento di sé in seguito alla scoperta casuale di un supposto tradimento della moglie Leila, Amir invece viene lasciato libero di raccontare in prima persona il proprio romanzo di formazione all’interno della città “straniera”.
L’uno, dominato dalla gelosia, perde per strada un’identità illusoria di uomo emancipato, l’altro rifiuta l’identità di arabo dei “Territori” e usurpa quella di Yonatan, il coetaneo israeliano in coma irreversibile a cui fa da badante. Ma guardando al passato del suo assistito, Amir avverte l’urgenza di esplorare con un sguardo “altro” lo spazio geografico ed umano attorno a sé: trovando la vecchia macchina fotografica di lui, inizia ad utilizzarla, ne comprende la potenzialità di strumento d’indagine.
Ogni scatto la verità d’un ritratto: uomini e donne, sorpresi nell’espressione di beatitudine davanti a un tazza di tè o nel dolore o nella fatica. Ed in fondo questo vuole essere il romanzo di Kashua: la fotografia in bianco e nero di una città con le sue vie trafficate, con i suoi posti di blocco, con il suo fitto reticolato di ghetti chiusi. Uno spazio vivo, dunque, in cui la figura al centro non oscura lo sfondo, anzi lo illumina: l’avvocato e Amir sono due figure epecularmente esemplari di un’umanità costretta a essere “due in uno”, impossibilitata a ricomporre in unità i frammenti di un’individualità monca. Il lettore seguendo le peripezie interiori dei due protagonisti penetra così l’anima di un’area del pianeta, conosciuta solo in superficie tramite telegiornali e reportage di guerra.
La liberazione futura dalla conflittualità perenne comunque Kashua pare prospettarla nell’emancipazione delle donne, rappresentate di scorcio: esse dimostrano rispetto ai loro uomini, mariti figli ed innamorati, una minore sudditanza al “conglomerato ereditario”. Il sofferto cammino verso se stessi, compiuto senza sbocco dai maschi e raccontato in profondità dal romanzo, le donne se lo sono già lasciato alle spalle: l’uomo si dimostra intelligente solo quando riesce a disfarsi di ogni identità, sostiene la madre di Jonatan, Ruchale, convinta che per diventare persona spesso è giocoforza uccidersi ed uccidere.
Sayed Kashua. Scrittore e giornalista arabo israeliano, è nato nel 1975 a Tira, in Israele. Ha studiato sociologia e filosofia alla Hebrew University di Gerusalemme. Autore di altri due romanzi scritti in ebraico, Arabi danzanti (2003) seguito da E fu mattina (2005) (Guanda), Kashua scrive colonne satiriche sul quotidiano Ha’aretz e sul settimanale Kol Ha’Ir, dove dipinge con umorismo i problemi incontrati dagli arabi in Israele e la difficoltà di conciliare le due realtà. La sua sitcom Avoda Aravit, scritta in arabo e trasmessa sul secondo canale della televisione israeliana, mette in scena una coppia di giovani arabi in cui il marito giornalista, desideroso di integrarsi nell’ambiente culturale ebraico dominante, si trova ad affrontare situazioni esilaranti che sottolineano il razzismo e l’intolleranza di entrambi i mondi. Kashua vive in un quartiere ebraico di Gerusalemme con la moglie e i due figli.
Autore: Sayed Kashua
Titolo: Due in uno
Editore: Neri Pozza
Traduzione: Elena Loewenthal
Anno di pubblicazione: 2013
Pagine: 322
Prezzo: 19 euro
*articolo di Augusto Leone