Nuova edizione per un classico Guanda, le Poesie e disegni a china del Maestro zen Sengai, riproposto nei “Poeti della Fenice” con la traduzione di Cristiana Ceci. Oltre che un pregevole volume quanto a grafica e cura editoriale, siamo davanti a un bell’esempio di “arte e pensiero” zen (le virgolette sono obbligatorie perché entrambe le nozioni hanno in quella storia e in quella geografia un senso diverso dal nostro). Se si pensa alle suggestioni di certe avanguardie, sia quelle che rivoluzionarono l’idea di arte, bellezza, poesia nei primi decenni del ‘900, sia quelle certo meno folgoranti degli anni Sessanta, se si pensa segnatamente alla necessità trasversale di chi cercava di far confluire un’arte nell’altra, di creare forme espressive che ne sintetizzassero diverse, alle varie declinazioni della cosiddetta “poesia visiva” per esempio, ecco questo libro offre l’impressione di un colpo di genio: come John Cage quando ascoltò un pezzo dodecafonico di Arnold Schoenberg e disse: “tutto qua?”. Si poteva fare – come il musicista americano avrebbe dimostrato – in maniera più semplice, senza l’insopportabile rovello della pedante serialità sulla quale si affannavano e perdevano le migliori menti delle generazioni immediatamente precedenti alla sua. Ma naturalmente non è così: intanto lo stesso Cage, nel suo modo personale, d’accordo, era avanguardia. Ma, quel che conta, Sengai invece era un monaco giapponese, vissuto nel diciottesimo secolo, fuori dalla storia europea, va da sé, e dunque dalla dialettica, dalla filosofia “progressiva” nella quale inserire anche le vicende artistiche e il sopravvenuto concetto di avanguardia. Caso mai furono alcune di queste avanguardie che si ispirarono a – o utilizzarono in qualche modo “canoni non occidentali”, dalla musica alla pittura, che si trattasse di Africa o Estremo Oriente. Difatti, nella “poetica” di Cage un ruolo decisivo ebbe come tutti sanno proprio la filosofia zen. E una pratica “artistica” che allo zen si facesse riferimento. Sengai, abate di un importantissimo tempio del buddismo zen, preferì accentuare i motivi ludici (ma serissimi) che fanno dello zen qualcosa di inafferrabile al mero concetto astratto, alla teoresi, e piuttosto renderlo esplicito in questa sua opera di poesia pittorica, fra haiku e disegni stilizzati che trovano la loro sintesi nella calligrafia – “arte” che vive nel dettaglio. Sofisticata come poche altre. Se il “contenuto” non manca spesso di essere enigmatico, sfuggente, come sentenze di I Ching, il loro tono si accampa in un certo elusivo umorismo che allo zen è connaturato (laddove altri popoli inventano madonne che piangono). Per spiegare ciò che si può spiegare di un’esperienza il cui unico dogma è quello della propria indefinibilità il volume si avvale dell’esegesi di Daisetz T. Suzuki, che gli esperti conoscono come un nome imprescindibile sull’argomento. Autore: Maestro zen Sengai, |