“Da un po’ di tempo succede che le cose mi parlano” è la riflessione della piccola Zoe protagonista del volume La casa ai confini del tempo di Ilaria Vitali (Zerounoundici Edizioni 2012) delicato romanzo di formazione, seconda riuscita prova letteraria della scrittrice e traduttrice ferrarese. “Questa storia è frutto di fantasia. Parla del meticoloso mandala profano disegnato dal caso”.
Da quando ha compiuto 11 anni Zoe, si è resa conto che gli oggetti che la circondano, per esempio la caffettiera o il vaso di tulipani, hanno acquistato un’anima che solo lei può vedere. Sia di giorno sia di notte attraverso strani rumori, pare quasi che il mondo voglia avvisare Zoe. Qualcosa sta per accadere. Ma che cosa? La bambina inutilmente si strofina il lobo dell’orecchio destro come fa sempre quando è assorbita da un pensiero ma questa volta non arriva a nessuna spiegazione plausibile. Nell’estate del 1992 intorno al delta del Grande Fiume il panorama è desolatamente piatto “non per niente la chiamano Pianura Padana”. L’unica nota positiva è che il sole non fa fatica a tramontare come in città, quindi “va giù lento, lentissimo, pregustandosi il tuffo nell’aria blu che c’è dietro alla terra”. Proprio durante il tramonto Zoe e sua madre sono arrivate nella casa dei nonni materni come avviene ogni estate a respirare la stessa aria degli anni precedenti. Ma questa è un’estate diversa e non solo perché il padre di Zoe “ha tagliato la corda”, se n’è andato. Nel cortile dell’abitazione dei nonni, una vecchia casa colonica che assomiglia a un parallelepipedo lungo, Zoe si diverte a fare la verticale contro il muro osservando il mondo a testa in giù. Unica compagnia il vicino di casa Lorenzo mentre in quella accanto, un tempo disabitata, è arrivata una famiglia numerosa che vive accampata nello spiazzo davanti casa dentro tre enormi roulotte.
In questa strana e ingarbugliata estate del 1992 segnata da tanti avvenimenti: Tangentopoli, l’assedio di Sarajevo, la strage di via D’Amelio e le Olimpiadi di Barcellona, le giornate trascorrono pulite come un lenzuolo. Zoe ha deciso di segnarsi gli avvenimenti che accadono su fogli volanti per riuscire in seguito a comprendere quello che era successo e che poteva avere dimenticato. L’autrice traccia con precisione e talento la figura della riflessiva e sensibile Zoe alla quale piace fare “a braccio di ferro con il mondo”. Nel frattempo, il Po, il Grande Fiume osserva placidamente il passaggio dall’infanzia all’adolescenza di una piccola donna e questo passaggio, come spesso accade, non sarà certamente indolore. “Buonanotte mondo. Forse per una volta posso fidarmi di te”.
Ilaria ha dedicato il libro “Alla palla rossa di Maria Petrova”…
“Sì, la dedica può apparire insolita (e, in effetti, ha incuriosito più di un lettore). Maria Petrova è stata una grande ginnasta ritmica e per me, da ragazzina, una sorta di mito. Nel romanzo, si parla di un particolare esercizio con la palla (uno dei cinque attrezzi della ginnastica ritmica) che presentò alle Olimpiadi di Barcellona del 1992 e che mi commuove ancora, ogni volta che lo guardo. Quell’esercizio con la palla, nel libro, assume un valore preciso, che viene spiegato, poco per volta, nel corso del testo. Mi piaceva l’idea di una dedica in apparenza misteriosa, che prendesse corpo con lo scorrere delle pagine e assumesse il suo senso pieno solo nel finale.”
Zoe da grande desidera diventare scrittrice. Quanto c’è di autobiografico nella personalità della protagonista il cui nome che in greco significa vita, forse non è scelto a caso?
“Verissimo, il nome di Zoe non è scelto a caso e si capisce bene alla fine del romanzo. E per quanto riguarda gli aspetti autobiografici, posso dire questo: Zoe non sono io e la sua storia non è la mia, ma è vero che io e lei abbiamo in comune quel particolare rapporto con la scrittura. C’è un passaggio nel romanzo in cui la ragazzina, messa alle strette dall’amico Lorenzo, è obbligata a pensare seriamente a cosa vuole diventare da grande. Sceglierà di essere una scrittrice per una ragione ben precisa e cioè perché questo mestiere le sembra l’unico che permette, in qualche modo, di non rinunciare a nessun altro. Di vivere più di una vita. «Attraverso la scrittura – ha scritto Linda Lê – mi sottraggo alla maledizione di essere solo me stessa». È vero. E vale anche per me.”
“Nella vita tutto dipende dal kairos” (momento giusto o opportuno), riflette il Suo pensiero?
“Decisamente sì. Fortunatamente sì… purtroppo sì.”
Per quale motivo ha deciso di ambientare la trama nella lontana estate di 20 anni fa?
“Il 1992 è stato un anno chiave per la Storia d’Italia con la S maiuscola e, per quanto mi riguarda, anche per la mia storia, con la s minuscola: come per Zoe, quell’anno è stato per me una cerniera tra l’infanzia e l’età adulta. Quando ho iniziato a mettere sulla carta la storia de La casa ai confini del tempo ho pensato di ambientarla in quell’anno preciso, perché questo mi avrebbe permesso non solo di raccontare di un mondo che ho conosciuto in prima persona, ma di raccontarlo con il senno di poi. Nel romanzo, questo genera spesso effetti comici (per esempio il terrore di Zoe, che odia il telefono, per l’allora improbabile eventualità che nel mondo, un giorno, tutti finissero per andare in giro con un telefono sempre in tasca… terrore, questo, ampiamente autobiografico).”
Quali sono state le letture che hanno influenzato la Sua formazione letteraria?
“Tante e diverse tra loro… sono una lettrice onnivora, direi quasi compulsiva. Da bambina adoravo le fiabe di Andersen, quelle italiane di Calvino, i racconti di Hoffmann, quelli di Landolfi (che compare in filigrana nel romanzo, nella storia della principessa Rami). Ero anche una divoratrice dei gialli di Agatha Christie – li ho letti quasi tutti – e questo mi ha lasciato il gusto delle storie ben congegnate, realizzate come meccanismi perfetti. Poi le mie letture sono cresciute con me: ho frequentato il liceo classico, mi sono laureata in Lingue e letterature straniere, ho scoperto autori come Rushdie, Flaubert, García Márquez, Kristof, Cortázar, Dickinson, Yehoshua… ma se dovessi indicare un autore che ha segnato una svolta nella mia vita di lettrice, direi senz’altro Milan Kundera. Ho letto L’insostenibile leggerezza dell’essere quando avevo sedici anni e lo sguardo di Kundera, ironico e disincantato, ha cambiato il mio modo d’intendere la letteratura e, forse, d’intendere il mondo. Poi ho letto tutti gli altri suoi libri, ci ho scritto sopra la tesi di laurea, che è stata pubblicata e, partendo da lì, ho proseguito gli studi con il dottorato e oggi sono una ricercatrice (anche se precaria…). Insomma, posso dire che Kundera ha cambiato la mia vita in maniera anche molto materiale.
Desidera ricordare ai nostri lettori l’argomento del Suo libro d’esordio?
“A tua completa traduzione (0111 Edizioni), racconta in maniera giocosa il mestiere del traduttore letterario, attraverso la storia di Alice Versani, traduttrice italiana che vive in un appartamento accucciato sotto i tetti di Parigi, in compagnia di un gatto che la snobba, perché la considera straniera. Sono anch’io una traduttrice e la mia idea, quando ho iniziato a scrivere questo romanzo, era quella di raccontare uno dei mestieri più invisibili per definizione. Poi, proseguendo nella scrittura, la storia ha preso una piega diversa, la traduzione è uscita dallo spazio cui era destinata e ha investito il mondo, diventando la misura di ogni cosa. Di colpo, mi è parso evidente che non si trattava di un mestiere riservato agli addetti ai lavori, ma di qualcosa di molto più generale e condiviso: tutti noi, ogni giorno, non facciamo altro che tradurre. Il romanzo è stato apprezzato per il modo in cui sottolinea il valore delle parole, della scrittura. Alcuni l’hanno definito un metaromanzo. Ma per me rimane soprattutto un canto d’amore per Parigi, la mia città d’elezione. E la storia d’amore tra un uomo e una donna molto diversi, distanti, e – come succede sempre in questi casi – irrimediabilmente attratti l’uno dall’altra.”
Ilaria Vitali è nata nel 1979 nei pressi del Grande Fiume. Dopo la laurea in Lingue e letterature straniere, si è trasferita a Parigi e ha conseguito il dottorato di ricerca presso la Sorbona. Traduttrice e specialista di letteratura francese contemporanea, ha esordito come scrittrice nel 2011 con il romanzo A tua completa traduzione. Lavora presso l’Università di Bologna dove è assegnista di ricerca in letteratura francese.
Autore: Ilaria Vitali
Titolo: La casa ai confini del tempo
Editore: Zerounoundici Edizioni
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo: 14,50 Euro
Pagine: 160