La Bella di Tiziano, splendido ritratto conservato presso la Galleria Palatina di Firenze, è raffigurata sulla copertina del volume Vita di Pantasilea scritto da Luca Romano (Neri Pozza 2012). Chissà se la donna dipinta dal grande Maestro del colore, assomigliava alla protagonista di questo documentato e suggestivo romanzo storico, una donna descritta con rara maestria e precisione.
La mattina di sabato 6 marzo 1527, due mesi prima del Sacco di Roma, “mentre i Banchi cominciavano ad animarsi” Pantasilea di Trastevere usciva dalla propria abitazione indossando un lungo abito elegante di taffettà ricoperto da una mantellina turchese che rivelava la sua condizione di cortigiana non ricca ma onesta, espressione che allora voleva dire colta e di buon gusto. La giovane si dirigeva a pregare presso le reliquie di San Giuda, il Santo delle cause disperate, conservate nella Basilica di San Crisogono per chiedere che il padre del bambino che portava in grembo la sposasse. Pantasilea era innamorata dell’orafo fiorentino Benvenuto Cellini, che ambiva a eccellere nella sua arte e a essere ricordato e riverito nei secoli. Erano gli ultimi giorni del carnevale romano, ora più parco secondo il volere del parsimonioso Clemente VII Medici e di quella “sanguisuga” del suo camerlengo, il Cardinale Armellino. Il popolo romano abituato da sempre a principi e a imperatori, non poteva certo immaginare che i barbari fossero alle porte. Gli abitanti dell’Urbe non ci credevano, perché gli stranieri vanno e vengono, “noi siamo qui da duemila anni e ci restiamo”. I barbari “morti di fame” di Carlo V acquartierati presso Bologna aspettavano solo un segnale per vilipendere, offendere, brutalizzare qualsiasi pietra e abitante di questa città considerata santa. Solo Brandano, il Cassandra di Roma, profeta di sventura, aveva intuito che il pericolo era imminente. “Vili! Molli! Indolenti romani!” Vestito con stracci sporchi e laceri, l’uomo girava da un rione all’altro gridando profezie con un teschio in una mano e un crocefisso in un’altra, lanciando strali e insulti contro la Chiesa e i preti corrotti, contro la vecchia nobiltà romana viziosa e vendicativa. Era in pericolo l’inviolabilità della Sede di San Pietro giacché come aveva detto Lutero “se c’è un inferno, allora Roma ci sta sopra”.
Una volta entrate le truppe imperiali all’interno della città, Roma era persa e le scene descrittive ricordano il tragico realismo di un dipinto caravaggesco. Nel “centro della cristianità, il luogo consacrato dal sangue dei martiri” Pantasilea si muove per le strade e i vicoli dei vari rioni conducendo il lettore in un’ambientazione e in un’atmosfera ricostruita nei particolari, dove le grandi famiglie rivali degli Orsini e dei Colonna si fronteggiano mentre Francia e Spagna combattono per ottenere il predominio in Europa. Ineguagliabili gli squarci descrittivi dell’Urbe: piazza in Agone (l’attuale Piazza Navona), la costruzione della chiesa della Santissima Trinità, la gigantesca Fabbrica di San Pietro, la Fabbrica di palazzo Farnese e Sant’Agostino nel rione Ponte, la Parrocchia preferita dalle cortigiane da quando “alcuni anni prima era stata sepolta Fiammetta, la famosa amante cortigiana di Cesare Borgia”.
L’autore per redigere il libro ha tratto lo spunto narrativo dall’autobiografia Vita di Benvenuto Cellini ma nelle pagine del romanzo è la figura di Pantasilea che brilla, il suo coraggio, in un periodo storico nel quale le donne sono qualcosa solo nelle vesti di mogli, amanti, vedove, zitelle, cortigiane o prostitute.
“ Il 6 maggio del 1527 il sole spuntò alle quattro e trentadue minuti. Un’ora prima dell’alba l’assalto fu improvviso e implacabile”.
Per quale motivo il Sacco di Roma segnò uno spartiacque tra la fase più brillante del Rinascimento e il successivo periodo della Controriforma cattolica? Prima del Sacco, la Chiesa considerava le scoperte della scienza come meraviglie del creato, se si preferisce come prove della saggezza e onnipotenza di Dio. In altre parole fra scienza e religione non ci poteva essere conflitto (una situazione cui stiamo finalmente tornando, con molta fatica). Le scoperte di Copernico furono accolte, per esempio, con grande interesse. Inoltre la riforma luterana, per quanto rappresentasse un fastidio che durava da dieci anni, non era considerata un attentato pericoloso al predominio della Chiesa. Ma la discesa lungo la penisola dell’esercito di Borbone portò i luterani nel centro della città santa, che saccheggiarono con una ferocia inferiore solo a quella degli spagnoli, ma tutta diretta contro gli ecclesiastici, contro le chiese e i finimenti della religione cattolica. E non vi è dubbio che avrebbero impiccato il papa se fossero riusciti a catturarlo. In quella occasione la Chiesa si sentì seriamente minacciata nel suo potere, sia religioso sia politico-statale. Reagì con durezza appena si fu ripresa, stabilendo una pace duratura con Carlo V, primo responsabile dell’assalto, e riaffermando poi in ogni modo la propria pre-eminenza, anche con l’Inquisizione e la repressione del pensiero.
Che cosa significava essere una cortigiana “colta” e “onesta” nella Roma del Cinquecento? Nella seconda metà del 400 e fino al Sacco, le cortigiane di ogni tipo erano numerosissime a Roma. Secondo alcuni calcoli: una donna su cinque, forse di più. C’erano quelle da impannata, vale a dire che si mettevano in offerta dietro a una finestra di panno da cui si intravedeva il volto, le domenicali (solo la domenica, nel giorno di libertà) che si affacciavano alle finestre, le meretrici alla candela (le più vecchie e brutte che non si facevano vedere più di tanto), e le cortigiane vere e proprie. Alcune di queste erano molto colte: una delle più famose a Venezia era Veronica Franco che scrisse e pubblicò sonetti e fu ritratta da Tintoretto. A Roma, in epoca Borgia, c’era stata Fiammetta che si era fatta costruire una bellissima casa nel centro di Roma, e che si può ancora vedere. Nella Vita di Benvenuto Cellini la vera Pantasilea doveva essere una via di mezzo fra le prostitute dozzinali e le cortigiane di alto bordo. È evidente che il suo rapporto con Cellini non era soltanto mercenario, dato che, come scrive lui senza la minima umiltà, era «grandemente innamorata di me». Ma come molte donne del passato, la vera Pantasilea esiste soltanto in alcuni brevi riferimenti del grand’uomo che parla di sé.
Quale fu il ruolo di Benvenuto Cellini durante l’assalto dell’esercito imperiale? Nella Vita, Cellini racconta che lui e i suoi amici, Alessandro del Bene e Cecchino della Casa spararono dalle mura nel mucchio contro i soldati che cercavano di scalare gli spalti di Roma e uccisero Borbone. Dopo avere sparato: «Voltomi subito a Lessandro e Cecchino, dissi loro che sparassino i loro archibusi, e insegnai loro il modo, acciocchè e’ non toccassino una archibusata da que’ di fora. Così fatto due volta per uno, io mi affacciai alle mura destramente, e veduto in fra di loro un tumulto istraordinario, fu che da questi nostri colpi si ammazzò Borbone; e fu quel primo che io vedevo rilevato dagli altri, per quanto poi s’intese». Cellini ha la reputazione di essere un megalomane sbruffone, ma chi ha studiato attentamente la sua Vita si è accorto che aveva una memoria di ferro e i suoi racconti corrispondono al vero. Si disse che si vantò di avere ucciso Borbone, ma come si legge nel testo, non è esatto. Dopo l’episodio sugli spalti, si rifugiò con Alessandro del Bene a Castel Sant’Angelo dove ebbe in carica una batteria di cannoni. Sparò con molta abilità, e senza tanti patemi, contro gli invasori e i civili. Uno dei suoi colpi andò a segno contro il principe di Orange che aveva preso il comando delle truppe imperiali dopo la morte di Borbone e gli sfracellò la mascella. Verso la fine del lungo assedio Clemente VII chiese a Cellini di fondere tutto l’oro della tiara papale da usare per pagare una parte del riscatto. L’orafo fece del suo meglio e consegnò l’oro al papa. Durante la procedura raccolse qualche granello e un po’ di polvere d’oro, lui dice dagli scarti della fusione, e li tenne per sé. Quell’oro lo aiutò dopo il Sacco a fuggire da Roma, ma più tardi fu accusato di furto e rischiò grosso.
Quali fonti e documenti ha consultato per scrivere la storia di Pantasilea che “poggia su una solida base storica” anche se “la storia nel suo insieme, è però interamente frutto dell’immaginazione”? Non abbiamo pubblicato la bibliografia che è lunga e noiosa, anche perché questo è un romanzo, non un saggio storico. Spero di avere letto tutto quello che esiste sul Sacco e praticamente tutto quello che ho potuto trovare sulla vita quotidiana a Roma all’inizio del Cinquecento. La scoperta più interessante è stata grazie a due professori della York University di Toronto: Thomas ed Elizabeth Cohen, che mi hanno fatto scoprire gli atti dei processi del Governatore di Roma nel ‘500. Il capitolo sull’interrogatorio di Pantasilea segue con buona esattezza le procedure dell’epoca. Il realismo fissa i paletti entro i quali l’immaginazione è libera di muoversi e arricchisce la storia con gli elementi che servono al lettore per capirne il senso.
Lei vive in un quartiere di Roma che fu devastato dai lanzichenecchi nel 1527. A distanza di sei secoli si respira ancora tra quei vicoli l’atmosfera cinquecentesca? Solo con molta immaginazione. Oltre a essere stato devastato da lanzichenecchi, il quartiere è stato sventrato da Mussolini e oggi è sommerso dal traffico. Ma sono rimaste ancora alcune strade pedonali e un’atmosfera da piccolo borgo, appunto, che rendono il quartiere abbastanza unico a Roma. Ho scritto Vita di Pantasilea in due posti: nella bellissima biblioteca dell’American Academy in Rome in cima al Gianicolo e nel salotto-studio di un attico con terrazzo che si affaccia sul Muro Corridore, con la vista su Castel Sant’Angelo. Non si sente mai il traffico, solo il grido dei gabbiani e quando alzi gli occhi vedi il castello e il passetto di Borgo e certo questo ha aiutato molto a pensare a Pantasilea.
Luca Romano è nato a Innsbruck (Austria) nel 1955 e vive a Roma. Si è laureato in Relazioni Internazionali e Storia Contemporanea all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi. Nel 1972 ha visitato la Cina di Mao e al suo ritorno ha studiato lingua e cultura cinesi all’Institut National des Langue set Civilisations Orientales di Parigi. È stato corrispondente dalla Cina, Germania, Russia e Gran Bretagna per diversi giornali e televisioni. Oltre al giornalismo si dedica alla fotografia d’arte e alla letteratura. Nel 1995 ha pubblicato Il risveglio del drago, un saggio sulla potenza della Cina negli anni di Deng Xiaoping (Sperling & Kupfer). Per Neri Pozza ha pubblicato L’Angelo egoista (2008).
Autore: Luca Romano
Titolo: Vita di Pantasilea
Editore: Neri Pozza
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo: 18,00 Euro
Pagine: 460