Il ritratto del diavolo: sua sintesi e trasformazione nel trapasso fra Medioevo e scaturigini delle modernità. Questo il senso del volume edito da Nottetempo e scritto da Daniel Arasse, storico dell’arte italiana e rinascimentale. Lo studioso francese in virtù delle sue conoscenze ha buon gioco a inserire la vicenda della variazione iconografica oggetto di questo studio – breve ed essenziale come il repertorio di immagini a supporto – in una storia più ampia, che consiste innanzitutto in un modo differente di intendere la figura.
Il capriccio delle grottesche per esempio la Chiesa non li amava. Tanto che dopo l’invenzione di epoca romana, è solo fra ‘400 e ‘500 che se ne recupera un utilizzo intenso. Sono gli stessi secoli in cui l’iconografia del diavolo muta le sue caratteristiche, smettendo le vesti del mostro ordito attraverso sembianze non umane e regolandosi per lo più su un criterio di rispondenza a un vero antropomorfizzato.
Nell’introduzione, Thomas Golsenne recupera la distinzione che con Leon Battista Alberti separa la pittura come historia dalla pittura come memoria. Non che, secondo principio irrinunciabile dell’arte medievale, non si creda più all’utilità dell’immagine, al suo scopo didascalico e ammonitore – l’imago agens (e la rappresentazione del Diavolo vi gioca un ruolo decisivo) -, ma si comincia a pensare all’arte in una maniera più empatica. Nella quale l’opera principia davvero a essere opera: a interessare per se stessa e non essere solo più in funzione di qualcos’altro. E lo fa attraverso una nuova identificazione che nello spettatore agisce grazie alla verosimiglianza. Se l’intero repertorio delle immagini prende movimento e gestualità, ciò vale anche per la raffigurazione del Diavolo: com’è nelle “teste grottesche” di Leonardo appunto, o nel Minosse di Michelangelo. Il “Diavolo dal volto umano”, una volta lontano dalle origini composite che ne avevano non casualmente tratteggiato l’immagine (la molteplicità ibrida degli elementi compositivi rifletteva il caos, la negazione dell’ordine divino) ora trova persino un riferimento empirico nella realtà contingente: quello concepito da Michelangelo nel Giudizio universale è un malevolo ritratto del cardinale Biagio da Cesena, che – com’è noto – si era lamentato col papa dei “tanti ignudi che sì disonestamente mostrano le lor vergogne”; in un luogo sacro, oltretutto. Il ribaltamento dell’artista è sublime e consiste nel mostrare come l’uomo stesso possa contenere (se non “essere) il diavolo perché il male è in lui. E si tratta di attributi morali (prima che teologici). E sociali. In quanto tali vengono rappresentati. Per questa strada si va ben oltre la pittura, ci suggerisce Arasse. Si arriva a Lombroso.
Autore: Daniel Arasse
Titolo: Il ritratto del diavolo
Traduzione di Anna Trocchi
Editore: nottetempo
Pagine: 124
Prezzo: 22 euro