Cosa succede se al giornalismo è dato in prestito un artista che è scrittore e cantastorie? Succede quello che succede quando una maglietta attillata la indossa una donna dal seno prosperoso. Le curve si vedono. Anzi, immaginate come lo potrebbe dire Gilberto Idonea, si sentono. Ecco, potrei già fermarmi qui con queste righe che presentano Fuochi, il libro edito da Vallecchi scritto e curato da Pietrangelo Buttafuoco. La metafora della premessa serve a spiegare come questo libro sia la dimostrazione della scollatura tra editoria e letteratura.
Gli editori, mischini loro, vivono un’epoca dove, un po’ ovunque ma in particolare in Italia, la cultura, che tutta non si può privatizzare, che tutta non va privatizzata, è gestita dai politici che non parlano l’italiano, ma l’economichese. Sono tecnici, anzi, forse con rispetto parlando, artigiani. Sarti sono. Tagli fanno. E scusate se la parola allude, montano e smontano i capitoli di spesa come abiti. E degli abiti, con cui si deve vestire la società che amministrano, rimangono solo sfridi che manco bastano per farne pezze o toppe per i troppi sederi male abituati. E della cultura, che è l’abito più bello, hanno lasciato sfridi che non bastano a promuoverla. A una cultura che non è promossa non si può educare.
Da quando la televisione pubblica si è conformata a quella commerciale, programmandosi in virtù dei consumatori del Dixan da compiacere, la cultura è scomparsa dal più importante media che non è dell’obbligo, la scuola. Disgraziata pure lei. E quindi uno scrittore che fa? Si mette alla finestra e fa didascalia. Annota, percepisce, deduce, immagina, sfruculia, smorfia. Fa deposito di fatti nella sua anima ferita e successivo prelievo per farne pagine, quelle dei giornali, che sono l’esatto opposto della letteratura. L’eternità di un’immagine contro ciò che è concepito per durare un giorno.
È costretto a fare cibo take away per lettori di passaggio che, più sul web che sulla carta, più su internet che in edicola, si posano come api sul fiore. Ma, quando l’articolo che racconta l’attualità è visto attraverso l’anima dello scrittore e del cantastorie, quello che rimane al lettore è miele. La didascalia si fa letteratura come il biscotto, la madeleine di PVC del museo dedicato a Marcel Proust di Illiers-Combray. Ecco cosa troverete in Fuochi di Buttafuoco.
Troverete un racconto dell’attualità che, metabolizzato dal ciclo di Krebs dell’autore, ha perso le date del calendario. Fin i personaggi di cui fa graffianti ritratti diventano tipi umani senza tempo. Tipi di cui Buttafuoco svela il grottesco, i lati minori dell’indole che solo l’occhio dell’artista può cogliere dalla prospettiva del Gallo Silvestre. Fuochi sono le passioni di Pietrangelo, e nelle passioni il pubblico e privato fanno incidente. Fanno big bang. Il primo tuffo al cuore: la Destra. La Destra in Italia. La pagina di cronaca, man mano che l’inchiostro si stende sulla pagina con gli a capo e la punteggiatura, si allontana dall’occhio come se si riducesse l’angolo sotto cui si legge. Buttafuoco cerca la distanza per guardarla con una prospettiva che è già storica e necessariamente anche nostalgica. È un nervo scoperto. Ci sono gli amici e gli ex amici. C’è lo zio Nino. Pubblico e privato. C’è lo scadimento culturale, c’è il tradimento dei valori, c’è il racconto di un mondo che non c’è più, chiuso, finito, in parte dimenticato. Un mondo impacchettato con cravatte brutte, dai nodi troppo grandi.
E infine c’è la Sicilia, ultima fotografia con cui il volume accoglie il lettore. Qui Fuoco è quello della ghirlanda che cinge il collo di Etna mentre, dal mare davanti a Roccalumera su di una barca che batte il tricolore, lo scrittore e il cantastorie se ne sta ormeggiato accanto a Luna che è barca anche lei. E lo fa poeta. Fuoco è quello che brucia allo Zingaro. Fuoco è quello che brucia la monnezza. Fuoco è quello che sfugge al controllo della più numerosa schiera di forestali in servizio della Storia. La Sicilia di Buttafuoco è la Sicilia di Manlio Sgalambro. Esiste solo come fenomeno estetico.
Comprate Fuochi e se lo leggete, leggetelo con i guanti.
di Michele Fronterrè