“La fiaba estrema” di Graziella Bernabò (Carocci, 2012) fu per Elsa Morante, alla quale questo saggio biografico è dedicato, quel costante esercizio di una poesia considerata “come avventura completa dell’anima e del corpo”. Elsa Morante tra vita e scrittura è il sottotitolo del volume pubblicato per celebrare a cento anni dalla nascita una donna che si definiva Poeta. “Mi chiamo Morante Elsa. Italiana. Di professione, poeta”.
La personalità di una delle figure più importanti e contraddittorie della letteratura del XX Secolo sfugge a qualsiasi schema. “Vibrante, generosa e carismatica” ma anche “inquieta e inquietante”, una vita ricca di soddisfazioni ma non priva di scelte e vicende dolorose, quindi poco serena come testimoniano non solo le opere, ma i diari, le annotazioni presenti nei manoscritti e i ricordi di tutte le persone che conobbero Elsa. “Nacqui nell’ora amara/del meriggio, nel segno del Leone/un giorno di festa cristiana”. La Morante era nata a Roma il 18 agosto a Roma a Trastevere in via Anicia 7.
A questo indirizzo c’era un ospedale con un reparto maternità, la Sala Savetti riservato alle donne “che non disponevano di mezzi per permettersi una più costosa assistenza”. Qui la madre Irma Poggibonsi maestra modenese di origine ebraica aveva dato alla luce Elsa. La scrittrice era figlia di “due padri, tutti e due siciliani”: Augusto Morante, istitutore del riformatorio Aristide Gabelli, sposato con Irma non era riuscito a consumare il matrimonio, e Francesco Lo Monaco, impiegato delle Poste e già ammogliato, padre naturale della scrittrice e degli altri quattro fratelli (Aldo, Marcello, Maria e Mario morto prima della nascita di Elsa). Se tutta la vita della Morante fu nei suoi libri, è la casa popolare di Testaccio in via Amerigo Vespucci 41, nella quale la scrittrice trascorse la maggior parte dell’infanzia, che ritorna nel suo primo libro pubblicato Menzogna e sortilegio. Bambini, cani e gatti randagi, l’umanità del popolo romano (Ersa veniva chiamata nel suo rione), gli orti e i prati di Testaccio, il mattatoio, Roma “luogo dell’anima” è permeata nelle opere e in tutta l’esistenza della Morante.
“Genio precoce e originale talento nella scrittura”, scrisse la sua prima poesia a due anni e mezzo, Elsa era la figlia preferita di Irma la quale seppe riconoscere il talento della figlia ed ebbe il merito di mettere Elsa nelle condizioni di valorizzare e di coltivare la sua bravura anche per vivere indirettamente quelle ambizioni letterarie che Irma non aveva saputo sfruttare. Fondamentale per la bambina fu il rapporto con la sua madrina, la ricca e bella Maria Maraini Guerrieri Gonzaga che possedeva una villa patrizia in via di Villa Massimo, nel quartiere Nomentano, oggi sede dell’Accademia Tedesca. Nel 1922 la famiglia Morante si era trasferita in una villetta di Monteverde Nuovo ed Elsa continuava a scrivere filastrocche e favole per bambini, racconti e poesie che iniziarono nel corso degli anni a essere pubblicati su varie riviste tra le quali Il Corriere dei Piccoli, Il Meridiano di Roma, Oggi. Dopo il diploma classico la Morante preferì non frequentare l’Università decidendo di andare a vivere per conto proprio in camere ammobiliate, mantenendosi dando lezioni private, scrivendo tesi di laurea e pubblicando racconti pagati su riviste. L’avventura della vita era solo agli inizi per cercare “un posto consapevole nel mondo e una propria, non prefabbricata verità”.
“Scrivere su Elsa Morante significa osare”, confessa l’autrice nella Premessa al volume, prezioso e documentato percorso che Graziella Bernabò ha ricostruito attingendo a molti testi, rileggendo i manoscritti e i libri della biblioteca morantiana presenti nella Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e ascoltando le testimonianze dirette su Elsa Morante offerte da parenti, amici e conoscenti. Per la Morante la poesia dunque fu “l’esito di un’esperienza di vita e di linguaggio veramente completa”, una “vicenda totalizzante ed estrema”. L’autrice ripercorre i luoghi, la storia, le opere, le passioni della Morante, donna affascinante che rivolse le sue attenzioni “a uomini difficili che non volevano o potevano amarla di un amore assoluto”. L’incontro con Alberto Moravia nel ’36 (non divorziarono mai nonostante si fossero separati nei primi anni Sessanta), che così la ricorda: “Era molto miope, aveva occhi belli con lo sguardo trasognato dei miopi”. Il matrimonio in chiesa celebrato il 14 aprile del 1941 lunedì dell’Angelo, le frequentazioni della coppia con artisti e intellettuali dell’epoca in un ambiente antifascista che considerava il regime di Mussolini come “una realtà negativa e mortificante ma difficilmente modificabile”, lo scoppio della II Guerra Mondiale, la fuga dopo l’8 settembre ’43 nelle montagne di Fondi in Ciociaria mentre il manoscritto di Menzogna e sortilegio era custodito a Roma in casa dell’amico Carlo Ludovico Bragaglia. Il Dopoguerra e la pubblicazione nel 1948 di Menzogna e sortilegio (Premio Viareggio) per Einaudi (“lo amai intensamente” scrive Natalia Ginzburg che lavorava presso la casa editrice di Torino). “Ho terminato di scrivere il libro che avevo vagheggiato di scrivere fin da bambina”. Il più grande romanzo italiano moderno possiede una lingua “complessa, sofisticata… e quasi sacrale”.
L’attico Moravia/Morante in via dell’Oca vicino a Piazza del Popolo diventò subito uno dei ritrovi più ricercati del mondo culturale romano. Importanti sono stati per Elsa gli incontri con Luchino Visconti e con Pier Paolo Pasolini, la predilezione per Umberto Saba, l’amicizia con Carlo Cecchi, Goffredo Fofi. Sono analizzati in questo volume anche i romanzi rimasti incompiuti e i successivi libri della Morante: L’isola di Arturo (1957) romanzo di formazione a sfondo psicologico che valse all’autrice il Premio Strega (fu la prima donna a vincerlo), Lo scialle andaluso (1958) una raccolta di racconti, Il mondo salvato dai ragazzini (1968) libro molto caro a Elsa ma non adatto a un grande pubblico dedicato a Bill Morrow poeta americano al quale la Morante era legata morto suicida. “Periodo difficile e confuso” è quello degli anni Settanta per La Storia (1974) uscito in edizione economica per volere della Morante e accolto entusiasticamente dai lettori commossi dal racconto della II Guerra Mondiale vista con gli occhi della povera gente (Ida, Nino e Useppe) che l’avevano subita.
L’ultimo romanzo della Morante fu Aracoeli (1982) dall’elaborazione settennale (Premio Mèdicis Etranger). La scrittura difficile e scomoda di Elsa, che redasse tutte le sue opere su quaderni scolastici o album da disegno, “non mancò mai ai grandi appuntamenti del suo e del nostro tempo”. Riscosse molte antipatie e critiche anche perché “nella rappresentazione del mondo e nella narrazione degli eventi storici” fu inedita e innovatrice, perché la scrittrice partì da “un proprio sentire arcaico e profondo”. La visione della drammaticità umana della Morante, quella visione tragica e conflittuale dell’esistenza, la sostanza pessimistica del suo pensiero e quella cupa visione del mondo secondo Gaziella Bernabò non è rassegnazione ma vitalità “che si sprigiona dall’intera sua opera”. È il mondo salvato dai ragazzini, perché i fanciulli e i puri di cuore sono i possibili destinatari della poesia e gli unici capaci di cambiare il mondo. Dolorosi furono gli ultimi anni di Elsa Morante che affetta da idrocefalia aveva tentato il suicidio nel 1983. Dopo essersi aggravata in seguito a un’operazione per un’ulcera perforata, la scrittrice morì di infarto il 25 novembre 1985 a 73 anni. Secondo le sue volontà, le sue ceneri furono disperse nel mare di Procida, l’isola di Arturo l’alter ego di Elsa Morante. “Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo a informarmene) che Arturo è una stella: la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale!”.
Graziella Bernabò è autrice di Invito alla lettura di Landolfi (Mursia 1978), Come leggere La Storia di Elsa Morante (Mursia 1991), Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Pozzi e la sua poesia (Ancora 2012). Ha curato, con Onorina Dino, un’ampia raccolta delle opere di Antonia Pozzi, Poesia che mi guardi (Sossella 2010) e ha collaborato con l’incarico di consulente storico – filologica al film omonimo di Marina Spada (Miro Film 2009). Da anni, in contatto con la Libreria delle donne di Milano, si occupa in prevalenza di scrittura femminile.
Il volume La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura è stato presentato lo scorso 30 ottobre alla Biblioteca Centrale Nazionale di Roma alla presenza dell’autrice. Sono intervenuti Gabriella Palli Baroni, Siriana Sgavicchia e Giuliana Zagra. La Biblioteca Centrale Nazionale di Roma ospita fino al 31 gennaio 2013 la mostra documentaria Santi, Sultani e Gran Capitani in camera mia. Inediti e ritrovati dall’Archivio di Elsa Morante. La mostra, a cura di Giuliana Zagra e Leonardo Lattarulo, è corredata da un catalogo edito dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, con prefazione di Goffredo Fofi e quindici diversi contributi critici. Il percorso espositivo si articola in nove sezioni (fiabe e racconti per bambini; racconti; menzogna e sortilegio; romanzi incompiuti; poesia; cinema; scritti etico-politici; diari e ricordi; paratesti). Info mostra: 06/4989344
Autore: Graziella Bernabò
Titolo: La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura
Editore: Carocci
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo: 24 euro
Pagine: 325