Sembra denso di una nostalgia per una città mai completamente vissuta eppure sempre amata, “La città color zafferano” (Bruno Mondadori 2012), il romanzo-saggio storico dell’indiano Gyan Prakash.
L’autore è Professore di storia nella prestigiosa università di Princeton, negli USA, e autore di in visita in Italia in occasione del Festival del settimanale Internazionale a Ferrara.
Un saggio che racconta Bombay e i suoi abitanti attraverso andirivieni nella storia, sempre coerenti, tra star di Bollywood, omicidi eccellenti, fumetti e caffè, slum e palazzi Art Decò. Nato in una cittadina del subcontinente, Prakash ora vive tra gli USA e la metropoli indiana. “Bombay è la nostra Londra, la nostra New York” racconta. “E per me, quando ero ragazzo, era la grande città lontana, il posto dove andare, dove accadevano le cose. La città della modernità indiana, dell’industria cinematografica che ha reso l’India famosa nel mondo. A Bombay non si va per vedere vestigia storiche, ma per sentire l’energia di una città in cui il 60% degli abitanti sono venuti da fuori per crearsi una nuova vita. Un patchwork di culture”.
Come le relazioni tra queste comunità sono cambiate nel tempo, anche per lo sviluppo economico?
“Bombay resta una terra delle opportunità per gli immigrati da altri Stati dell’India. Ma qualcosa è cambiato negli anni con l’ascesa dello Shiv Sena (il partito estremista hindu, ndr) e i contrasti tra hindu e musulmani. Negli anni ’60 la città era colorata dalle bandiere rosse del Partito Comunista, ora sventolano quelle giallo zafferano dello Shiv Sena: da qui anche il titolo del libro. Il partito ha avuto successo negli anni perché non offriva utopie, come i comunisti, ma proposte di azione diretta, purtroppo anche violenta, contro gli immigrati da altre regioni e i musulmani. Trasmetteva un ideale di forza, azione e mascolinità in cui si sono identificati molti giovani. Certo è che poi le persone devono convivere per fare affari, hindu e musulmani: per questo le tesi dello Shiv Sena iniziano a faticare a trovare largo seguito.”
Bombay ospita Dharavi, il più grande slum dell’Asia, di cui lei però parla in modo positivo.
“A Bombay c’è una città “solida”, abitata dalle classi abbienti, e una “cinetica”, città informale in continuo movimento, dove la gente improvvisa tutti i giorni la vita, oltre all’architettura. E su questo hanno creato un quartiere intero: senza servizi pubblici, elettricità, fognature, ma molto diverso dalle favelas sudamericane o dalle baraccopoli africane. Dharavi non è un luogo di rassegnazione e violenza. Certo, c’è povertà, ma vi si trova anche un’immensa varietà di attività produttive: dalla riparazione di cellulari alla lavorazione di pelli per borse che poi diventano manufatti di lusso. Purtroppo il futuro di Dharavi è desolante: è una zona molto centrale, su cui hanno già messo occhi da anni gli immobiliaristi. Se così fosse, sarebbe un’occasione sprecata per le autorità cittadine per migliorarlo senza però snaturarne l’anima positiva di pianificazione dal basso.”
È ottimista sul futuro di Bombay?
“Bombay è rappresentativa della situazione indiana. Da una parte l’ottimismo, soprattutto da parte dei giovani che negli ultimi anni si sono affrancati dalla povertà. Dall’altra parte le opportunità non sono eque né tante come si dice: sono un po’ scettico sul boom indiano perché la ricchezza si è concentrata solo in alcuni strati della popolazione. Servono cambiamenti più radicali per creare un vero boom economico e una classe media. Il governo ha creduto in modo semplicistico all’idea del mercato come soluzione a tutti i problemi. Anche il problema degli espropri di terre ai danni delle tribù locali e dei contadini a favore delle multinazionali minerarie è stato sottovalutato.”
I luoghi imperdibili?
Prima di tutto un giro a Marine Drive, il viale dei palazzi di lusso, affacciato sul Mar Arabico: qui si vede la proiezione di Mumbai verso il mare, tipica della sua storia. Sicuramente una passeggiata a Dharavi, per vedere quanto sia sbagliato il nostro pregiudizio sugli slum. Poi, Chor Bazaar, affollatissimo mercato delle pulci che vende tutto, dai dischi jazz a oggetti di uso quotidiano. Una
Gyan Prakash è Professore di Storia all’Università di Princeton. Si occupa principalmente di problemi legati alla modernità urbana e alle realtà post-coloniali. Tra le sue pubblicazioni: Bonded Histories: Genealogies of Labor Servitude in Colonial India (Cambridge University Press, 1990), Another Reason: Science and the Imaginationof Modern India (Princeton University Press, 1999)
Autore: Gyan Prakash
Titolo: La città color zafferano. Bombay tra metropoli e mito
Editore: Bruno Mondadori
Anno di pubblicazione: 2012
Pagine: 288
Prezzo: 19 euro