Libro in apparenza eccentrico e irregolare ma non troppo, a suo modo un percorso stravagante nella storia, calendario o agenda o almanacco arbitrari e tendenziosi come ci si aspetta da Eduardo Galeano. Pregi e limiti dello scrittore di Montevideo sono infatti ben rappresentati in questo “I figli dei giorni“, tradotto per Sperling & Kupfer.
Nel volume vengono allineate 366 brevissime storie, una per ogni giorno dell’anno (compare anche il 29 febbraio), storie che ricordano episodi dimenticati o sepolti dalla storiografia accademica, o che ne rovesciano il paradigma interpretativo, o che mostrano un aspetto nascosto di avvenimenti ben noti. In quest’”altra” storia Galeano esibisce tutta la sua immaginativa capacità di raccolta e montaggio di episodi minimi o fatti clamorosi che sono un po’ un racconto del mondo: a partire dal primo gennaio, del quale ricorda non essere “il primo giorno dell’anno per i maya, gli ebrei, gli arabi” etc., mentre il due dello stesso mese è menzionato con riferimento al 1492, quando cadde Granada e con essa la Spagna mussulmana. Dice Galeano, “Granada era stato l’ultimo regno spagnolo dove le moschee, le chiese e le sinagoghe potevano essere buone vicine”.
E il tre gennaio? Quel giorno “dell’anno 47 a.C. arse la biblioteca più famosa dell’antichità”. Duemila anni dopo il rogo di Alessandria, le truppe americane dello stolido G.W.Bush pensarono bene di dare una”lezione di civiltà” all’Iraq riducendo in cenere la biblioteca di Baghdad. E con questo credo si sia capito lo spirito del libro, che non consiste solo nel ricordare la storia delle minoranze, ma anche di affermare il valore della pluralità, della molteplicità di mondi, della coesistenza di popoli differenti. Il potere di solito non ci fa una bella figura. Mirabili il sarcasmo su un altro civilizzatore come Churchill, il fulminante aforisma sul “padrone del mondo” Rockefeller, o la pessima figura dei giornali francesi che sono in grado di cambiare atteggiamento su Napoleone in poche ore; ma anche la topica cosmica della Decca che l’11 febbraio del 1962 rifiutò il primo disco dei Beatles scrivendo fra l’altro che “i gruppi di chitarra stanno scomparendo”.
Passa da un’epoca all’altra, Galeano, da una latitudine all’altra, e lo fa con apprezzabile fantasia; il suo resta un modo seducente di raccontare, di rileggere la storia del mondo. Non mancano l’ironia spiazzante, la malinconia struggente che riassumono la vita di un personaggio (uno per tutti, il dramma del portiere del Brasile, Moacir Barbosa, che in un giorno di metà luglio del 1950 divenne il capro espiatorio di un intero paese che non gli perdonò la sconfitta ai mondiali contro l’Uruguay, in casa). Il solo difetto? Qualche ovvietà da politicamente corretto, note scontate e didascaliche sulle guerre, il sud America colonizzato, le donne oppresse, gli omosessuali. Ma resta un libro piacevole.
Eduardo Galeano è nato nel 1940 a Montevideo (Uruguay), dove ha iniziato la carriera giornalistica. Nel 1973, in seguito al golpe militare, è stato imprigionato e poi espulso dal suo paese. Ha vissuto in esilio, in Argentina e in Spagna, fino al 198. È autore di vari libri, tradotti in oltre venti lingue. Tra le opere disponibili in italiano ricordiamo la trilogia Memoria del fuoco – per cui gli è stato attribuito, nel 1989, l’American Book Award -, e Le vene aperte dell’America Latina, apparso nel 1971.
Autore: Eduardo Galeano
Titolo: I figli dei giorni
Traduzione: Marcella Trambaioli
Editore: Sperling & Kupfer
Anno di pubblicazione: 2012
Pagine: 436
Prezzo: 19,50 euro