“Casa Biagi” scritto da Bice e Carla Biagi (Rizzoli 2012) è la storia familiare, come recita il sottotitolo, raccontata dalle figlie di uno dei più grandi giornalisti del Novecento, memoria storica di un secolo breve ma denso di avvenimenti. “Nostro padre viveva il suo mestiere come un impiegato”. Il volume dedicato “a tutti quelli che in Casa Biagi sono entrati e con noi hanno riso e pianto”, ha inizio a Bologna in una domenica di guerra del 1940 quando il ventunenne redattore del Resto del Carlino, Enzo “bruttino, occhiali da miope, magro come un chiodo e leggermente supponente”, incontra durante un tè danzante la ventenne maestrina Lucia Ghetti “le più belle gambe di Bologna”.
“Perché hai scelto papà che francamente non era un granché?”. “Ma era tanto simpatico e intelligente”. Così si era compiuto il destino di Enzo e di Lucia, un’unione che sarebbe durata cinquantanove anni e che è il nucleo centrale di questo racconto corale ironico, nostalgico, commovente, mai retorico, in perfetto stile biagesco. “Pierangela la fedele segretaria diceva che a Casa Biagi non si respirava il lusso ma la solidità”.
Rievocazione e testimonianza di un periodo storico attraverso una saga familiare dove il lettore s’immedesima nell’esperienza partigiana di Biagi “e i ragazzi lasciarono le case e andarono sui monti” (1), riscopre la Milano post bellica ancora segnata dai bombardamenti “poche automobili, tanti passanti col cappotto rivoltato” e nelle abitudini di un clan borghese degli anni Cinquanta. “I vestiti belli si compravano da Mamma Bianca in via Dante, punto smock e calzettoni bianchi alle feste, gonna scozzese e calzettoni blu per tutti i giorni”. È interessante scoprire l’umorismo dissacrante di Biagi, la sua passione per i circhi e la severità del giornalista nei riguardi delle tre figlie: Bice, Carla e Anna “un’occhiata di papà ti riduceva in ghiacciolo o a un mucchietto di polvere, a seconda che i suoi occhi chiari ti volessero gelare o incenerire”. In risalto inoltre l’eleganza e l’anticonformismo di Lucia, le vacanze a Pianaccio nel natio borgo selvaggio di Biagi “Pianaccio è una favola ha scritto nostro padre”, a Bellaria o a Cortina, gli amici di una vita (Sergio Zavoli, Pietro Garinei, Cesare Rimini, Federico Fellini) e il rapporto di Biagi con Arnoldo Mondadori.
Tra le pagine del libro dove appare l’album dei ricordi in bianco e nero scelto dalle autrici, scorre l’impegno professionale di un uomo che aveva fatto della sua vita un esempio di rigore e coerenza morale. “Non ci immaginavamo certo che un giorno nostro padre sarebbe diventato un protagonista del piccolo schermo ma confessiamo che, quando poi è successo, non ci ha colpito più di tanto”. Un lessico familiare dove traspare un Biagi intimo, quotidiano, la storia privata e pubblica di una famiglia normale ma anche particolare dove si affollano personaggi divertenti, famosi e autorevoli.
Un modo per ricordare uno dei giornalisti più amati e apprezzati dal pubblico che non è mai stato dimenticato. Enzo Biagi, sicuramente uno dei grandi testimoni del nostro tempo, medaglia d’oro postuma dei giornalisti, definito dal Presidente Napolitano “una grande voce di libertà” si è spento a Milano in un giorno d’autunno il 6 novembre 2007. La sua parabola di vita è terminata, dove era iniziata il 9 agosto 1920, a Pianaccio, piccolo paese dell’Appennino bolognese al confine tra l’Emilia e la Toscana, dove oggi riposa.
“A conti fatti oggi, signore sessantenni, riconosciamo nel rigore e nel senso del dovere imposti da nostro padre un codice di comportamento che ci ha aiutato a cercare di essere persone serie o quantomeno poco cialtrone, così come l’anarchia materna ci lascia un ricordo divertente del nostro passato”.
“Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Signora Biagi, ripensando all’incipit di Anna Karenina di Leone Tolstoj, che tipo di famiglia è stata quella nella quale è nata e cresciuta?
“È stata una famiglia estremamente rigorosa. Mio padre non ammetteva la sciatteria quindi voleva che le sue figlie imparassero molto presto il senso del dovere dell’impegno. Lui voleva che le proprie figlie crescessero indipendenti economicamente dal marito, ecc. Ai miei tempi era una cosa insolita anzi le mie compagne pensavano al matrimonio anche come guscio protettivo rispetto alle cose della vita. Invece no, noi siamo state cresciute in modo diverso e devo dire che poi negli anni ho capito quanto fossero importanti le cose che mio padre mi diceva, quanto mi hanno aiutato nella vita. In qualche modo ho cercato di fare lo stesso con mia figlia. Noi eravamo una famiglia che viveva normalmente, in più certo rispetto a tante altre, per esempio, venivano a colazione personaggi come Fellini o Prezzolini. Abbiamo avuto modo di conoscere tanti protagonisti del Novecento e sono state delle occasioni estremamente felici e fortunate per noi.”
Nelle prime pagine del libro Enzo Biagi è paragonato al personaggio verghiano di Mastro Don Gesualdo. Desidera spiegarci il motivo?
“Sì, mio padre è nato in una famiglia molto modesta, suo padre faceva l’operaio, sua madre cuciva le camicie e le andava a consegnare nelle case delle signore che gliele ordinavano. Mio padre sapeva cosa voleva dire il sacrificio, sempre conservando la dignità, per lui era molto importante la casa, per lui e per noi. Non era un uomo attaccato alle cose ma il senso di precarietà che aveva vissuto da bambino e da ragazzo in qualche modo l’ha accompagnato per tutta la vita. Per cui quando ha potuto comprarsi un podere, ci ha detto «Beh, se succede qualcosa, con il grano e con le patate mangeremo sempre». Ecco che cosa intendevamo dire quando lo paragonavamo a Mastro Don Gesualdo.”
“La parola d’ordine per le mogli era resistere”. Fondamentale è stato per Suo padre il sostegno e l’incoraggiamento della moglie Lucia. Ce ne vuole parlare?
“Loro si erano conosciuti molto giovani ed erano veramente cresciuti insieme. Lei aveva una fiducia illimitata in suo marito per cui con lui ha affrontato per esempio il trasferimento da Bologna a Milano. Mia madre ha interpretato perfettamente il fatto che il marito si segue in tutte le cose della vita. Gli è stata vicina nel lavoro, l’ha sempre sostenuto nelle scelte professionali, lei non si è mai scoraggiata quando nel lavoro di mio padre le cose non andavano bene per certe posizioni politiche che lui prendeva. Lui è stato un marito come tanti, il loro matrimonio ha avuto sicuramente un cemento fortissimo che era anche la complicità, la solidarietà, l’amicizia. Ci sono stati anche dei momenti obiettivamente difficili, però per mia madre quel ragazzo che aveva scelto a vent’anni è stato l’uomo della sua vita e l’ha amato fino all’ultimo istante di vita. Lui senza di lei era perso, gli mancavano le abitudini… mio padre non sapeva comporre un numero di telefono da solo… era un uomo assolutamente impacciato nelle cose pratiche. Lei gli aveva risolto qualunque problema: mio padre non sapeva neanche a che scuola noi fossimo andate. Era lei che si occupava di noi, della suocera, dei cognati, di tutto. La loro è stata un’unione d’amore che è durata sessantadue anni. Loro erano comunque una coppia estremamente solida nonostante appunto anche dei momenti di crisi come credo in tutti i matrimoni.”
“Fare l’inviato era un traguardo”. Che cosa significava essere giornalisti negli anni Cinquanta e Sessanta in Italia?
“Sicuramente era una situazione molto diversa da quella di oggi, intanto perché fare il giornalista voleva dire lavorare nel mondo della carta stampata. Non c’era ancora il grande boom della televisione che in fondo trasforma i giornalisti in personaggi pubblici, no? Allora erano tutti ragazzi che più o meno uscivano dall’esperienza della guerra, della Resistenza. C’era voglia di fare, di raccontare, di conoscere. Io mi ricordo vagamente il primo viaggio di mio padre negli Stati Uniti, fu un’avventura alla scoperta di un mondo nuovo. Sicuramente quella del giornalista era anche una professione interpretata con uno spirito civile molto, molto forte. Poi qualche cosa si è appannata negli anni.”
“Caro Augias… ricordo che quando Il Fatto andava in onda, prima dell’editto bulgaro, era entrato quasi a far parte dei riti familiari: ci alzavamo da tavola al suono delle note della sigla e tornavamo alla fine del programma. Io però non seguivo: ero, infatti, troppo piccola per capirne i temi, troppo immatura per cogliere la sottile ironia che stava nelle parole di Biagi; troppo inesperta per comprendere quanto quel programma fosse ben fatto”. Desidera commentare le parole di questa lettera pubblicata sul quotidiano La Repubblica (2) pochi giorni dopo la scomparsa di Suo padre?
“La lettera di questa ragazza è una delle tante che abbiamo ricevuto anche dopo la scomparsa di nostro padre. Nella cappellina del cimitero di Pianaccio dove lui è sepolto ci va ancora moltissima gente. La gente del paese raccoglie per noi i biglietti, tutti quei pensieri affettuosi che i visitatori lasciano. Questa lettera quindi mi ricorda i tanti messaggi che ancora oggi da tutta la Penisola gli italiani lasciano a mio padre. La chiusura de Il Fatto segnò nostro padre che in quel periodo aveva già avuto dei dolori privati, la morte della moglie e della figlia più piccola. Mi ricordo che quando uscivamo insieme a lui, la gente lo fermava e gli diceva: «Mi raccomando, resista! Resista!». «Ma resistere a che? A cosa posso mai resistere?» egli si domandava. Era molto angosciato per tutte le persone che lavoravano con lui al Fatto, perché molti avevano contratti che erano rinnovati di anno in anno. Lui diceva «Se togli il lavoro a un uomo, gli togli la dignità». Per la prima volta ho visto mio padre ormai anziano, umiliato. Per fortuna nell’ultimo anno della sua vita ci furono persone che gli consentirono l’ultima, breve edizione di RT Rotocalco Televisivo. Quello fu per mio padre un regalo della vita.”
Con quali aggettivi Enzo Biagi definirebbe l’Italia attuale?
“È difficile immaginarli, perché sarebbero i suoi aggettivi. Certamente un’Italia impudica, un’Italia che ha perso la barra di quello che è il confine tra il bene e il male di tutti quei valori che sono fondamentali. Enzo Biagi era preoccupato già cinque anni fa quando è mancato. Diceva «Per gli italiani c’è una settimana di troppo al mese. Non riescono ad arrivare alla fine del mese». Era in ansia per i giovani, per il precariato. Io credo che oggi sarebbe molto depresso ma mio padre aveva anche una grande fiducia negli italiani e nella loro capacità di risollevarsi. Credo che ricorderebbe quegli anni in cui lui dopo la fine della guerra insieme a tutta una generazione consegnò ai giovani di allora un’Italia migliore. Forse ora noi dovremmo raccogliere quell’eredità e cercare di non vergognarci davanti ai nostri figli per lasciar loro un Paese di cui andare fieri.”
(1) “Lasciarono la loro giovinezza che non aveva e non avrebbe mai più trovato la sua stagione. Videro la morte e uccisero, seppero la crudeltà e l’amore, la disperazione e la speranza. Offrirono i loro vent’anni per avere una certezza, una fede che li sollevasse. La trovarono in un nome. Libertà. Li sostenne nei giorni duri; li animerà se dovranno ancora combattere perché nessuno tolga – agli uomini di vent’anni già vecchi – quella libertà che fu spesso la sola fiamma per riscaldare la loro inesistente giovinezza”. Breve citazione da Patrioti, il giornale che Biagi fondò nei quattordici mesi in montagna con Giustizia e Libertà.
(2) “Ora che ho 18 anni, rimpiango di non essere stata sufficientemente matura, abbastanza adulta da ascoltare quando ne avevo l’ occasione quella televisione di cui si è in seguito perso il modello, a parte le pochissime eccezioni che si possono contare su una mano. Quelle conclusioni taglienti, quel garbo nel porsi di fronte alle telecamere mi mancheranno, anche se non ne sono stata testimone consapevole”. Elena Santoro Osio Sotto (BG). Lettere a Corrado Augias – La Repubblica 9 novembre 2007 -.
Bice Biagi, giornalista, ha diretto Insieme, Intimità, Novella 2000 ed è stata vicedirettore di Oggi. Nel 2007 ha lavorato con il padre nella redazione di RT – Rotocalco televisivo. Nel 2008 ha pubblicato In viaggio con mio padre (Rizzoli). Dal 2008 insieme alla sorella Carla, presiede il comitato promotore del Premio Enzo Biagi.
Autore: Bice e Carla Biagi
Titolo: Casa Biagi. Una storia familiare
Editore: Rizzoli
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo: 18 euro
Pagine: 198