“Il bianco / mi racconta.“. Questo, a mio modesto avviso e parere, è il distico che ‘sintetizza’ l’opera miracolata dal demonio dell’artista Caterina Davinio, “Il libro dell’oppio” (Puntoacapo, 2012); e se pensate che il titolo sia, diciamo, eccessivo, dico che la sua forza è poca cosa nei confronti della poesia che dovrebbe rappresentare: perché i versi, prelevati dagli anni Settanta e Ottanta del millennio scorso, scendono nelle vene alla stregua della materia descritta e riscritta da Davinio. Protagonista delle scene vitali, infatti, è l’eroina. Non a caso tante volte ‘omaggiata’ da titoli che la restituiscono direttamente o poco meno che indirettamente. Quel bianco, dunque, non è solamente il vuoto, che tra l’altro potrebbe benissimo esser “nero”, ma proprio la droga. Che fa una serie d’immagini, vedi amici tossici e somministrazione da parte dell’Io che somiglia più a un ‘noi’, sconvolgenti, pressanti, asfissianti. D’una poesia mai retta dall’artificio.
E questo l’intuisco quando, per giunta, dove meno te l’aspetti spuntano due ma davvero due strofe che con il resto della scrittura di Caterina Davinio nulla hanno a che fare, in quanto prossime al canzonettismo. Le poesie di Davinio, “pioniera della poesia digitale e della computer arte”, m’hanno detto che esiste ancora l’intransigenza dell’arte. Quando in poesia non è possibile fermare le dita. Calmare l’esigenza di metter in pagina tutto quello che l’espressione intima chiede. La lingua di Davinio è veloce, tagliente, tagliata dalle bottiglie rotte della strada. Il suo sguardo rivolge un assenso panomarico alla storia personale di disperazione generazionale. Erano stati, certo, anni di rame. Epperò anche giorni d’agonie e illusioni chimiche, persino da non rimuovere ci dice la poetessa.
Caterina Davinio, nata a Foggia nel 1957 è cresciuta a Roma, dove dopo la laurea in Lettere all’università Sapienza si è occupata d’arte contemporanea e nuovi media, come autrice, curatrice e teorica. Presente in antologie e riviste internazionali, ha pubblicato, in poesia, Fenomenologie seriali, Campanotto, 2010, menzione speciale nel Premio Nabokov 2011, con testo inglese a fronte, postfazione di Francesco Muzzioli e nota critica di David W. Seaman; il romanzo Còlor còlor, 1998; il saggio Tecno-Poesia e realtà virtuali, 2002, con prefazione di Eugenio Miccini; la raccolta di scritti sulla poesia elettronica Virtual Mercury House Planetary & Interplanetary Events, libro con dvd, 2012. Ha ottenuto riconoscimenti come finalista nei premi Lorenzo Montano, Franco Fortini, 2011, Scriveredonna 2010 (Pescara), per l’inedito. Tra i pionieri della poesia digitale e della computer arte nel 1990, ha esposto in oltre trecento mostre in molti paesi d’Europa, Asia, Americhe, Australia. Dal 1997 ha partecipato e creato manifestazioni di poesia e arte multimediale in sette edizioni della Biennale di Venezia ed eventi collaterali.
Autore: Caterina Davinio
Titolo: Il libro dell’oppio
Editore: Puntoacapo
Anno di pubblicazione: 2012
Pagine: 164
Prezzo: 16 euro
*articolo di Nunzio Festa