“L’Umbria in camicia nera”. Intervista a Leonardo Varasano

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È con piacere che intervistiamo Leonardo Varasano – giornalista, studioso e “perugino d.o.c.” – per quanto riguarda l’uscita del volume “L’Umbria in camicia nera” (Rubbettino, 2012). 

Un saggio ottimamente curato che traccia una linea sugli effetti, le dinamiche e i mutamenti che il regime ha prodotto, durante il ventennio, in una delle regioni d’Italia considerate, storicamente, più “rosse”.

Ciao Leonardo, grazie dell’intervista. Conoscendoti di persona so quanto sia importante per te la memoria locale, soprattutto quando si parla della tua terra e della tua città. Come e perché nasce questo libro? A chi è rivolto?

L’Umbria in camicia nera è il risultato di uno studio durato circa dieci anni. Tutto ha avuto inizio con la mia tesi di laurea. Il lavoro originario si concentrò sulle “beghe” che caratterizzarono i rapporti interni al fascismo umbro dando luogo a laceranti lotte (non sempre e non solo politiche), soprattutto nel corso degli anni Venti. Di lì, dopo aver appurato l’assenza (o il superamento, vista la lontananza nel tempo dei pochi studi sull’argomento) di una bibliografia specifica sul tema, ho ampliato la prospettiva – pur rimanendo nell’ambito locale – interessandomi delle vicende politiche, sociali ed economiche dell’Umbria fra le due guerre. Negli anni del Dottorato di ricerca in Storia politica contemporanea, e in quelli immediatamente successivi, ho così continuato ad interessarmi al fascismo umbro.

Il “parto” conclusivo di quegli studi è L’Umbria in camicia nera. Un volume che, credo, non si rivolge solo agli appassionati di storia umbra. Anzi. Ritengo che possa interessare agli appassionati e agli studiosi di storia contemporanea; agli appassionati e agli studiosi del fascismo, nella sua dimensione nazionale e locale; a tutti coloro che sono interessati alla figura di Benito Mussolini e alle complesse vicende dell’Italia fra le due guerre.

I “fascismi locali” si muovevano anche distintamente dall’organizzazione centrale. Quali erano le peculiarità umbre? Il fascismo, qui come da altre parti, ha accompagnato mutamenti nel costume e nell’economia della zona. Cosa è rimasto oggi di quei processi?

Il fascismo non ebbe sempre lo stesso volto, non fu lo stesso fenomeno al centro e in periferia. In Umbria il primo fascismo è un’organizzazione fortemente movimentista, incentrata sulla violenza squadrista (dall’Umbria parte la “conquista” fascista delle Marche e del viterbese). Ai suoi vertici, nella fase iniziale, c’è Alfredo Misuri, uomo di sentimenti conservatori e monarchici, convinto che il fascismo fosse solo una necessaria parentesi per ristabilire l’ordine perduto dopo il “biennio rosso”: nei primi tempi, anche in virtù delle posizioni misuriane, la faglia tra il fascismo umbro e la centrale milanese è evidente, soprattutto su temi quali la “tendenzialità repubblicana” e il “patto di pacificazione”. Quando però le redini dell’inquieto fascismo perugino (alla guida delle camicie nere umbre) vengono prese da Giuseppe Bastianini, i contrasti si ricompongono e i dissensi vengono messi a tacere: da allora tra Milano (e poi Roma) e Perugia c’è una sostanziale consonanza.

Quanto ai mutamenti nel costume e nell’economia, essi sono notevoli (anche se lo scarto tra dichiarazioni d’intenti e realizzazioni effettive fu a volte significativo). Tanto più notevoli se si tiene conto della condizione di arretratezza che viveva l’Umbria del primo Novecento, più forte che altrove. Di quei mutamenti è rimasto innanzitutto il “fascismo di pietra”, ovvero tutte quelle opere (acquedotti, scuole, ospedali, strade, ecc.) che hanno contribuito alla modernizzazione dell’Umbria. Il lascito più evidente è però, forse, quello che interessa il mondo accademico: negli anni del regime, nasce l’Università per Stranieri, tuttora attiva e rinomata, mentre l’antica Università degli Studi ha una crescita edilizia e culturale notevole. In quegli anni, giova ricordarlo, sorgono alcune nuove Facoltà: su tutte quella di Scienze Politiche, chiamata, nelle intenzioni del regime, ad essere il nuovo “seminario del fascismo”.

Io avevo l’idea di un’Umbria sospesa nel tempo, eternamente sospesa tra il passato (presente?) socialista e la forte misticità che l’ha trasformata nei secoli in una delle culle del cattolicesimo. Poi parlando con te (e con altri “autoctoni”) mi hanno parlato di una realtà ben diversa e di moltissime problematiche (droga e delinquenza su tutto). Cos’è l’Umbria oggi? Come ha reagito ai cambiamenti irreversibili della società contemporanea? Che differenza c’è tra quell’Umbria degli anni venti e trenta e quella di oggi?

L’Umbria “cuore verde” d’Italia e culla del francescanesimo è ormai un ricordo. Lontano. L’Umbria “rossa” – ma meno “rossa” di prima – è invece ancora una realtà. Il contesto sociale è cambiato radicalmente, Perugia è ormai da anni, purtroppo, la capitale europea della droga (le morti per overdose sono un dato tristemente inoppugnabile). Attorno a questo tema ci sarebbe molto da dire, ma non è la sede opportuna.

Tra l’Umbria in camicia nera e quella di oggi c’è ovviamente molta differenza. Negli anni – e questa è senza dubbio una delle differenze negative – la regione ha perso buona parte di quel dinamismo culturale ed imprenditoriale che la portò, ad esempio, all’avanguardia nel campo accademico o alla creazione di un’importante azienda come “Luisa Spagnoli”. C’è però anche un dato in comune tra allora ed oggi: una sorta di tendenza – principalmente politica, ma non solo politica – al conformismo e all’omologazione. Semplificando, per esigenze di sintesi: prima tutti “rossi” (1919-20), poi tutti “neri” (1921-1943), poi di nuovo tutti “rossi” (dal 1945 in poi). Forse, come ha scritto tempo fa Ernesto Galli della Loggia, “rossi per sempre”.

Un anno chiave del tuo discorso è il 1921, l’Umbria dà un significativo contributo alla marcia su Roma. Ci spieghi brevemente i rapporti di potere, gli scontri-incontri con PNF, le lotte intestine di quella stagione fondamentale per la storia del nostro paese? Da dove venivano i dirigenti fascisti locali? Quali erano i rapporti tra “potere” e “piazza”?

Il 1921 è definito, non a caso, l’“anno fascista” tout court. In Umbria, però, non segna solo l’ascesa delle camicie nere, ma una caduta rovinosa di tutte le giunte socialiste. La paura di una rivoluzione “come in Russia” è fortissima. Attorno al fascismo si salda, in breve tempo, una reazione che compendia diverse anime (liberali, nazionalisti, repubblicani, cattolici, ecc.). Anche alle urne, benché condito da significative coartazioni, il risultato è decisamente eclatante: i socialisti passano dal 46,9% del 1919 al 24,8% del 1921. In breve tempo il fascismo umbro spazza via ogni opposizione: Perugia viene indicata come luogo di partenza della marcia su Roma (e, soprattutto, come punto di ripiegamento in caso di una eventuale disfatta) anche per l’“affidabilità” delle sue camicie nere.

Il gruppo dirigente fascista è molto diversificato al suo interno. Ci sono agrari e possidenti ma anche semplici piccoli borghesi (o anche meno) che fanno dell’azione squadrista uno strumento formidabile per avviare un’eccellente cursus honorum (si pensi a Cianetti, Bastianini o Felicioni). Per tutti gli anni Venti le lotte intestine sono ferocissime e ricche di conseguenze. Dalle lotte interne al Pnf discende, almeno in parte, anche la creazione della provincia di Terni.

Si può finalmente fare “storiografia” sul fascismo? Possiamo iniziare a considerarlo solo una “vicenda lontana”?

Il fascismo è una “vicenda lontana”. Quando lo si invoca oggi, in riferimento alla politica attuale, lo si fa a sproposito. Il fascismo, come ha scritto Renzo De Felice nella celebre “Intervista”, è “un fatto storico di un preciso periodo, e quindi, anche se ci fosse un nuovo ‘fascismo’, sarebbe tutt’altra cosa”.

Seppur ormai lontano, il fascismo rappresenta una pagina fondamentale della storia italiana. Meritevole di essere ancora indagata e ricordata: piaccia o meno, al di là degli scontati giudizi di merito su un regime autoritario di mobilitazione, il ventennio è parte della storia italiana. E cancellarlo dalle commemorazioni per i 150 anni dell’Unità nazionale è stato semplicemente un non-senso.

Vuoi aggiungere qualcosa per finire? Intanto grazie per l’intervista e ne approfitto per ricordare che Leonardo Varasano fa parte del comitato di redazione della Rivista di Politica, un importante progetto di ricerca e di studio diretto da Alessandro Campi. Per tutte le informazioni a riguardo potete consultare il sito www.istitutodipolitica.com

Sì, credo vada ricordata un’ultima cosa: la significativa rilevanza della classe dirigente del fascismo umbro. Una classe dirigente di cui fecero parte Tullio Cianetti, Fernando Mezzasoma, Oscar Uccelli, Giuseppe Tassinari e Agostino Iraci. Ma, soprattutto, Giuseppe Bastianini, più volte sottosegretario, ambasciatore in diverse importanti sedi (da Lisbona a Londra) e, di fatto, ministro degli Esteri nell’ultimo scorcio del fascismo. Per i ruoli ricoperti, Bastianini – benché dimenticato e condannato ad una assurda damnatio memoriae – resta il più importante politico umbro del Novecento. Meritevole di ulteriori studi.

Leonardo Varasano, giornalista e pubblicista, collabora con la cattedra di Storia delle dottrine politiche dell’Università di Perugia. Ha conseguito il dottorato in Storia politica contemporanea presso l’Università di Bologna (2007). Autore di saggi su Giuseppe Bastianini ed Elia Rossi Passavanti – due tra i più importanti esponenti del fascismo umbro -, ha curato con Alessandro Campi la ripubblicazione del Corso di sociologia politica di Roberto Michels (Rubbettino, 2009). Ha contribuito alla realizzazione di un numero della rivista «Ricerche di Storia Politica» (il Mulino, 2010) dedicato ai fascismi locali. È membro del Comitato di redazione della «Rivista di Politica».

Autore: Leonardo Varasano

Titolo: L’Umbria in camicia nera (1922-1943)

Editore: Rubbettino

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: 32 Euro

Pagine: 592