Mia è la vendetta è un libro unico tra quelli che testimoniano l’Olocausto. Innanzitutto va detto che non è una testimonianza diretta, seppur l’autore ben conosceva la realtà dei campi di prigionia, ma soprattutto che non è una testimonianza postuma alla liberazione. Mia è la vendetta infatti è stato scritto e pubblicato durante la guerra, quando il sistema dei campi era ancora del tutto attivo.
La pubblicazione risale infatti al 1943, Friedrich Torberg è già da due anni emigrato negli Stati Uniti, è austriaco ma soprattutto è ebreo e con sé ha portato tutti i ricordi delle persecuzioni razziali. Questo è un testo unico anche per un altro, fondamentale, motivo. Torberg è il primo che si pone e che pone ai suoi lettori un quesito che poi angoscerà tutti gli intellettuali del dopoguerra: “Quale deve essere l’atteggiamento degli ebrei di fronte alle persecuzioni? La vendetta risiede nel mantenere la fede o nella resistenza fisica?”
È il novembre del 1940 e un uomo va spesso ad attendere l’arrivo dei suoi amici provenienti dall’Europa. Ogni giorno che si reca al molo trova anche un altro uomo ad attendere sulla banchina. Un uomo scarno, sulla quarantina, che si aggira inquieto e attende. Attende, senza mai incontrare nessuno. Quando finalmente ha il coraggio di avvicinarsi e di chiedere a questa figura dall’aspetto curato eppur misero se stia aspettando qualcuno così si sente rispondere: “Io ne aspetto settantacinque. Settantacinque. E non arriva nessuno. Così mi tocca sempre andarmene via da solo”.
Da questa confessione prende il via un racconto, una confessione, “una storia che non si racconta così, tanto per ingannare il tempo”. Ed è la storia del campo di Heidenburg, al confine tra la Germania e l’Olanda, e dei settantacinque prigionieri della Judenbaracke, la baracca degli ebrei. In questo campo non esiste l’apparato della distruzione di massa, giacché all’epoca Torberg ne ignorava ancora l’esistenza, ma esiste quella crudeltà priva di razionalità e di giustificazione che porta presto i prigionieri allo spaesamento più profondo. La crudeltà ha il volto del comandante Wagenseil, che escogita per i prigionieri ebrei il più estremo dei soprusi. Sceglie, apparentemente senza alcuna logica, un prigioniero alla volta, lo isola, lo tortura e lo convince a suicidarsi. Nella baracca si accende così un dibattito sulla resistenza che divide i prigionieri in due gruppi. È giusto reagire o la vendetta va lasciata a Dio? I due gruppi si identificano in Joseph Aschkenazy, un quasi-rabbino che aspetta la vendetta del Dio del Deuteronomio, quel Dio che proclama “Mia è la vendetta, e nel protagonista che, diventato vittima di Wagenseil, deve scegliere come e se sopravvivere. Il finale non è rivelabile, ma racchiude in sé tutte le contraddizioni di una scelta che forse non può essere pienamente giusta o sbagliata. In questo senso il libro di Torberg è un libro assolutamente profetico.
Così gli editori presentavano il libro:
“Oltreoceano, nell’Europa nazista, si utilizza lo pseudo-tedesco dei bollettini di guerra e delle bugie propagandistiche – qui, sulle coste dell’Oceano Pacifico, la maggior parte degli scrittori tedeschi che si sono messi in salvo scrive nella lingua di Goethe. Questo colpo di fortuna geografico ci sia d’aiuto per dare testimonianza dell’eccelsa forza culturale che è stata scacciata da Hitler e ha trovato rifugio in America.
Friedrich Torberg (1908-1979), intellettuale dal talento multiforme, fu romanziere, poeta, polemista, sceneggiatore, critico teatrale e traduttore. Torberg, il cui vero nome era Friedrich Ephraim Kantor (Berg era il cognome della madre), apparteneva a una famiglia di ebrei praghesi trasferitisi a Vienna. Il suo primo romanzo, il “thriller scolastico” Der Schüler Gerber hat absolviert, pubblicato nel 1930 grazie al sostegno di Max Brod, conobbe uno straordinario successo. Convinto sionista, nel 1938 Torberg emigrò in Svizzera e allo scoppio della guerra si unì volontario all’armata cecoslovacca di liberazione in Francia. Dopo l’occupazione di Parigi riuscì a entrare fra i “dieci eminenti scrittori antinazisti” (fra cui Franz Werfel, Heinrich Mann e Alfred Polgar) che il PEN Club fece emigrare negli Stati Uniti, dove lavorò come sceneggiatore. Negli anni successivi, rientrato in Austria, intensificò la sua attività di giornalista e si distinse per le sue posizioni di intellettuale anticonformista e scomodo. Celebri le sue polemiche contro Thomas Mann (definito un fellow traveller dei socialisti) e Bertolt Brecht, oggetto di sferzanti parodie e di un aperto invito al boicottaggio. Torberg morì a Vienna una ventina di giorni dopo aver ricevuto il Grosser Staatspreis für Literatur, massimo riconoscimento letterario austriaco.
Autore: Friedrich Torberg
Titolo: Mia è la vendetta
Editore: Zandonai Editore
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 11 euro
Pagine: 88