Voglio dirlo subito, uno: non è per niente facile scrivere come John Williams, sebbene a uno sprovveduto potrebbe capitare di pensare il contrario. Due: non lo è nemmeno scrivere del suo gran libro, Stoner, tradotto ora da Fazi, pubblicato per la prima volta nel 1965, in seguito consegnato all’oblio, fino alla riedizione del 2006 dalla New York Review Books.
Un lettore dovesse spiegare cos’è che lo tiene con gli occhi attaccati alla pagina – uno strano senso di giustezza, di verità, di calore persino – farebbe fatica. Niente sangue, niente sesso esplicito ma solo un adulterio che non si nega a nessuno, niente scene madri. Niente indagini o drammi o thriller o tragedie spettacolari. Nemmeno spiritosaggini.
Così risulta difficile dire da dove viene la forza di questo libro. Ché Williams consegna al lettore il racconto di una vita banale e ordinaria, e lo fa con una scrittura piana, pesata in ogni parola, dunque una storia che non sembra avere l’intenzione di essere riscattata attraverso gli artifizi della retorica: di ciò che abitualmente chiamiamo “stile”. Una prosa “sorvegliata”, usava dire una volta. Sobria, con la forza calma di un diesel. Intanto, un libro come questo dimostra come – lo disse anni fa più o meno così perentorio un (ex?) scrittore come Daniele Del Giudice – lo “stile” non sia una gran cosa, mentre il tono è tutto. Che la scrittura è questione di tono, ecco.
Gli è di più: questa storia elementare non solo non sembrerebbe tentare una rivincita attraverso la seduzione capricciosa dello stile ma nemmeno affidarsi a un intreccio avvincente. Si espone difatti al rischio di una stesura lineare, quasi un’ingenua fabula da dilettante, con tanto di sequenzialità cronologica cui non siamo più abituati.
E invece. Williams, con una forza paziente, incrollabile quanto discreta, e incrollabile quanto quella dell’ineffabile protagonista del suo romanzo, Stoner, va avanti per centinaia di pagine raccontando di un giovane di origini contadine, cresciuto in una fattoria del Missouri, dove la vita è scritta su “dita tozze e callose” che lavorano una “terra dura e secca”, che va a studiarsene agraria da un’altra parte, che se obbedisce ai comandi degli adulti lo fa con distacco, senza lamentarsi, che non capendo granché di letteratura curiosamente s’incaponisce a farne il suo oggetto di studio, fino a diventare professore, che vede fallire il suo matrimonio da subito, e con esso esaurire la sua già scarsa fiducia nella felicità delle relazioni umane… Questo uomo di pietra ma tutt’altro che cinico sembra non farsi travolgere da niente.
Per questo non sai come prenderlo, Stoner, ti vien voglia di aprirgli la testa e vedere cosa c’è dentro – dedizione assoluta alla disciplina e al lavoro a parte, ma, questo è il punto, non di abbandonarlo. Avverti un senso di verità nella sua vita e nella scrittura che la racconta, raro. Come dice Peter Cameron in un breve scritto compreso nel libro: “La maggior parte degli scrittori, buttato giù il primo paragrafo del romanzo, avrebbero rinunciato”. Direi di più, alla maggior parte degli scrittori non sarebbe nemmeno passato per la testa di raccontare un personaggio del genere. E nel modo in cui lo fa Williams. Per questo è un libro di culto: perché ci vuole uno scrittore per capire quale sia il genio di uno scrittore che non solo rinuncia agli effetti speciali ma raccontandoti una vita del tutto dimenticabile ti lascia senza fiato per l’ammirazione.
John Williams (Texas 1922-1994). Oltre a Stoner è autore di tre romanzi: Nothing but the Night (1948), Butcher’s Crossing (1960, di prossima pubblicazione sempre per Fazi) e Augustus (Castelvecchi, 2010), vincitore del National Book Award.
Autore: John Williams
Titolo: Stoner
Casa editrice: Fazi
Anno: 2012
Traduzione Stefano Tummolini
Pagine: 332
Costo: Euro 17,50