Analizzando il mezzo fotografico ne La Chambre Claire, Roland Barthes affermava che la fotografia “non cattura la vita, quanto piuttosto la realtà della morte”.
La natura immobile e cristallizzata della fotografia implica infatti che l’istante colto nel suo apparente iper-realismo celi in realtà una intrinseca idea di passato, di qualcosa che è già svanito nel momento in cui ci si è illusi di avergli infuso la vita. La consapevolezza dell’istante ormai irripetibile comporta una riflessione su ciò che è definitivamente passato e che può rivivere solo attraverso il ricordo.
Il pensiero di Barthes introduce efficacemente questi straordinari racconti di Cees Nooteboom, i cui protagonisti sembrano proprio essere la fotografia, il tempo, lo spazio e, di conseguenza, la morte. Sono otto storie ambientate simbolicamente in malinconici luoghi di mare, in cui i personaggi si trovano a contemplare delle fotografie e a compiere, attraverso di esse, intensi percorsi memoriali che fanno tornare vive esperienze altrimenti svanite. Allo stesso tempo, essi riescono a re-interpretare la loro identità presente, nella consapevolezza del misterioso fluire di tempi e spazi diversi nelle loro vite: “Osservò la foto e come sempre si stupì della sua ineffabilità. Non solo una foto poteva raffigurare una morte, ma poteva metterti sul piatto una versione fuori coro di te stesso”.
Lo stile rarefatto è volto a ricreare il carattere di sospensione percettiva causato dal tipo di esperienza vissuta: attraverso immagini fortemente simboliche e mai banali, Nooteboom descrive la lancinante consapevolezza dei suoi personaggi, l’armonia temporanea ed effimera ricostruita dalla coscienza attraverso brandelli infinitesimali di ricordi. Questi sembrano mescolarsi ai flussi e riflussi delle onde marine che gli stessi personaggi spesso contemplano, osservando simultaneamente i lenti processi di erosione per cui una delle voci narranti ricorda Montale e i suoi Ossi di seppia. La ricorrente voce dell’oceano è impietosa e infinita, come un tempo inesorabile durante il quale tutto muta e si metamorfizza, salvo alcuni elementi degli spazi che, a distanza di anni, sembrano rimasti inalterati. Ma è la coscienza dei personaggi che di nuovo li modifica, li sottopone a un filtro percettivo in grado di alterarne le componenti essenziali, finanche quelle più oggettive come le forme e i colori, in un coro di voci passate ed evanescenti che, attraverso una scrittura estremamente visuale ed evocativa, divengono reali e tangibili agli occhi e ai sensi del lettore, riproducendo così una lucida e “viva” fotografia mentale.
Cees Nooteboom (L’Aia, 31 Luglio 1933), è uno scrittore olandese più volte candidato al Nobel. Autore molto prolifico, ha scritto romanzi, poesie, racconti e reportage. Il suo primo grande successo letterario è stato Philip en de anderen (“Philip e gli altri”) che, a soli ventidue anni, lo rese uno degli scrittori più significativi dei Paesi Bassi. Il romanzo, considerato un’anticipazione degli ideali della Beat Generation, è la storia di un uomo che viaggia in autostop attraverso l’Europa sulle tracce di una misteriosa ed evanescente ragazza cinese.
Autore: Cees Nooteboom
Titolo: Le volpi vengono di notte
Editore: Iperborea
Anno di pubblicazione: 2010
Pagine: 150
Prezzo: 14,50 euro
Articolo di Federico Sabatini