“Grazie no. Sette idee che non dobbiamo più accettare” di Giorgio Bocca (Feltrinelli) l’ultimo invito che il giornalista rigoroso rivolge ai suoi conterranei. “… siamo stati superati, sommersi dallo tsunami pubblicitario, dal realismo del venduto e dell’acquistato, dal trionfo del paramercato… “.
Quale frase migliore di questa per definire questi ultimi anni folli che hanno caratterizzato il comportamento della maggior parte degli italiani?
Sette idee che vengono pubblicate postume oggi 11 gennaio quasi un mese dopo la scomparsa dell’autore avvenuta a 91 anni il giorno di Natale appena trascorso. Sette succinti capitoli, sette esortazioni per dire Grazie no alla crescita folle, alla produttività, al nuovo dio; alla lingua impura; al dominio della finanza; alla corruzione generale; alla fine del giornalismo; all’Italia senza speranza. “Alla Camera dei deputati e negli uffici della politica si parla il <politichese>, un linguaggio burocratico noioso, senza colore e sapore. Un deputato vale l’altro, un partito vale l’altro: tutti ripetono formule stantie, solo raramente qualche uomo politico di spicco e di carattere riesce a ritrovare una comunicazione persuasiva o comunque interessante. La noia è la madre del qualunquismo“. Lo scrittore e intellettuale nel suo pamphlet si domanda per quale motivo avvenimenti e cose quotidiane ormai ci vedano assuefatti, perché non abbiamo più il coraggio morale di indignarci, di dire basta a questa tendenza a questo pensiero unico che condiziona la nostra esistenza che ci rende, per fare un esempio, schiavi del lavoro. Dedicatosi fin dall’inizio della carriera al giornalismo d’inchiesta e di battaglia civile, Giorgio Bocca scrive che “La vita che un tempo andava guadagnata con <il sudore della fronte>, il lavoro come una condanna vengono mitizzati come unica ragione di vivere. La vita dell’uomo di successo è una vita da schiavo: abolite le ore di ozio, considerato peccato mortale, come perdita di tempo… “.
Il grande cronista da sempre animato da passione e coscienza civile, che ha testimoniato con la forza della sua penna e del suo libero pensiero ciò che osservava da vicino scrive che “ogni mattina giornali, radio e televisioni informano gli italiani onesti, rispettosi delle leggi, attenti alla morale corrente e al giudizio del prossimo che nell’altra Italia centinaia, migliaia di concittadini hanno sfidato la prigione, il disonore, i carabinieri e i poliziotti per arricchirsi a mezzo della politica e ai danni dello Stato, e lo hanno fatto senza provare vergogna o rimorso, anzi con il compiacimento di chi si sente parte della classe ladrona che finge di essere classe dirigente”. Coesistono dunque due Italie “la razza ladrona“ spavalda, ostentante e orgogliosa di esserlo, “protetta e proterva” e la banda di onesti lavoratori che paga le tasse, non evade il fisco e insegna ai propri figli valori di onestà intellettuale. Chi leggerà queste pagine che non sono un testamento politico, ma un limpido invito agli italiani a essere migliori si domanderà insieme a Bocca “ma è possibile che sia questa la società in cui vivo, questa in cui si è perso non solo il più elementare rispetto della pubblica opinione, ma ogni tipo di vergogna, di pentimento, di disagio?“.
Giorgio Bocca è stato un eccellente giornalista e saggista, uomo integerrimo che per anni ha tastato il polso degli italiani curando due rubriche, la prima sul settimanale L’Espresso dal titolo L’antitaliano, la seconda Fatti nostri sul Venerdì di Repubblica. Illuminante l’incipit di una sua inchiesta datata 1962 sul miracolo economico iniziando da Vigevano, redatta per Il Giorno quotidiano milanese fondato da Enrico Mattei e direttore di allora l’ex partigiano Italo Pietra: “Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa non le ho viste. Di abitanti cinquantasettemila, di operai venticinquemila, di milionari a battaglioni affiancati, di librerie neanche una”. Il Provinciale (dal titolo della sua autobiografia scritta nel ’91) nato a Cuneo nel 1920 era stato forgiato dall’immutabile silenzio delle amate montagne luogo della sua formazione a un passo dal paradiso.
In Partigiani della montagna. Vita delle divisioni Giustizia e Libertà del Cuneese redatto subito dopo la fine della II Guerra Mondiale, il partigiano per sempre Bocca ricordava la sua esperienza di combattente per la libertà quando aveva scelto dopo l’8 settembre ’43 come tanti altri suoi coetanei di salire verso “la purezza senza ombre della montagna“, una scelta di vita che avrebbe segnato la sua futura esistenza. Terminata l’avventura della guerra, il cronista d’Italia era approdato dapprima a La Gazzetta del Popolo, quindi all’Europeo e poi al Giorno per raccontare non solo eventi di cronaca estera ma soprattutto la provincia italica, le campagne, le fabbriche come luoghi di vita e di lotta. I suoi articoli diventarono subito lezioni di giornalismo puro, modello per le generazioni future. “I giornalisti della mia generazione erano mossi da un motivo etico: ci eravamo messi tragedie alle spalle, perciò il nostro era un giornalismo abbastanza serio. Oggi la verità non interessa più a nessuno, perché l’editoria è sempre più al servizio della pubblicità“. Descrizioni chiarificatrici della Milano della borghesia, dei salotti, dei tanti misteri, dei crimini e dei lussi.
“Come qualunque giornalista ansioso di rubargli il mestiere leggevo e sottolineavo la sua prosa lucida e avvincente, e di lui avevo, ho sempre avuto molta soggezione“. Natalia Aspesi La Repubblica martedì 27 dicembre 2011. Come dimenticare Come combatto contro la mafia colloquio tra Giorgio Bocca e “il generale nel suo labirinto“ Carlo Alberto Dalla Chiesa pubblicato su Repubblica del 10 agosto dell’82 pochi giorni prima dell’assassinio mafioso del Prefetto e di sua moglie Emanuela Setti Carraro avvenuta a Palermo il 3 settembre? “Beh, sono di certo nella storia italiana il primo generale dei carabinieri che ha detto chiaro e netto al governo: una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non mi interessa. Mi interessa la lotta contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i poteri per vincerla nell’interesse dello Stato“. Roberto Saviano così ricorda quel momento storico nelle pagine de L’Espresso “Quel colloquio tra Carlo Alberto Dalla Chiesa e Giorgio Bocca è stato importante per me e per quelli della mia generazione che hanno sempre chiesto di capire. Noi che abbiamo cominciato a fare domande dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per riscoprire così il sacrificio del carabiniere diventato prefetto che aveva rinunciato alle scorte e alle blindate per essere parte della vita di Palermo, l’altra capitale del Sud, e si era imposto di cominciare la sua missione proprio dalle scuole, dal consegnare ai giovani meridionali la speranza in un futuro di legalità”. Il Presidente Giorgio Napolitano ha ricordato Bocca dopo aver appreso la notizia della sua scomparsa con queste parole: “Dedicatosi subito al giornalismo d’inchiesta e di battaglia civile, Giorgio Bocca ha scandagliato nel tempo la realtà del nostro Paese e le sue trasformazioni sociali con straordinaria intransigenza e combattività. Con sentimenti di riconoscenza per il suo vigoroso impegno partecipo al cordoglio della famiglia e del mondo dell’informazione”.
“Dicono, ed è vero, che gli italiani danno il meglio di sé nei giorni difficili. Danno, a essere più esatti, quello che, visti i loro usi e costumi abituali, non ti aspetti“. L‘antitaliano provinciale ci saluta sollecitandoci a non capitolare, a reagire come avvenne durante la guerra partigiana in un saggio scritto da un maestro di giornalismo e di stile rivolto a chi desidera capire anche per cercare di cambiare lo status quo. “Nel tripudio nazionalistico per i centocinquant’anni dell’Unità i venti mesi della guerra partigiana restano un’eccezione difficilmente ripetibile, un miracolo di cui non ci credevamo capaci. Si parla poco anche nel centocinquantesimo dell’unità dei partigiani, eppure c’è incredibilmente stata, ma si ha quasi timore a parlarne, a sfiorarla. In un certo senso un’italianità eccezionale”. Per non soccombere di fronte ai luoghi comuni, a parole vuote e a quell’impotenza del nostro modo di parlare che l’autore nel capitolo dedicato a La lingua impura rivela “va peggiorando da quando abbiamo deciso di trascurare come robe vecchie l’oratoria e la retorica”. Nel booktrailer che accompagna l’uscita del libro Bocca seduto dietro una libreria piena zeppa di libri in due minuti presentava ciò che intendeva dire in Grazie no: “Oggi l’Italia dovrebbe essere piena di gruppi rivoluzionari, invece nessuno… È una crisi di cui nessuno sa niente, nessuno sa quando è cominciata e come finirà. Il consumismo è dominante, bisogna moltiplicare il consumo, moltiplicare gli investimenti. Una corsa senza fine. La produzione è più importante di tutto, molto più importante della vita dell’uomo. Se non c’è Dio tutto è possibile, in questa società non c’è più Dio allora la corruzione è diventata una cosa non solo possibile ma normale. Una cosa insopportabile di quest’epoca è l’incomprensibilità. Grazie no. Sono un pessimista di mestiere ma dentro di me dico che ce la siamo sempre cavata. Sono passati millenni, siamo arrivati fin qui, andiamo ancora avanti”.
Giorgio Bocca è nato a Cuneo il 28 agosto 1920 ed è morto a Milano il 25 dicembre 2011. Lo scrittore e giornalista italiano aveva studiato alla Facoltà di Giurisprudenza di Torino. Durante la II Guerra Mondiale si arruolò come allievo ufficiale alpino. Dopo l’8 settembre, aderì alla lotta partigiana fondando insieme a Benedetto Salmastri e a Duccio Galimberti le formazioni partigiane di Giustizia e Libertà, operando nella zona della Val Grana e in seguito della Val Maira nel cuneese. Iniziò a scrivere da adolescente su periodici a diffusione locale. Dal 1938 al ’43 scrisse per la testata cuneese La Provincia Grande, Sentinella d’Italia. Alla fine della guerra Giorgio Bocca ha lavorato per La Gazzetta del Popolo, L’Europeo e Il Giorno. Nel 1976 fu uno dei fondatori del quotidiano La Repubblica. Nel 2008 ricevette il Premio Ilaria Alpi alla carriera. In quella occasione ricevendo il riconoscimento disse “Tutti quelli che fanno il giornalismo lo fanno sperando di dire la verità: anche se è difficile, li esorto e li incoraggio a continuare su questa strada“. Tra i suoi tanti libri citiamo: Storia dell’Italia partigiana (1966), Palmiro Togliatti (1973), La Repubblica di Mussolini (1977), Piccolo Cesare (Feltrinelli 2002), Basso Impero (Feltrinelli 2003), Partigiani della montagna (Feltrinelli 2004), L’Italia l’è malada (Feltrinelli 2005), Le mie montagne. Gli anni della neve e del fuoco (Feltrinelli 2006), È la stampa bellezza! La mia avventura nel giornalismo (Feltrinelli 2008), Annus Horribilis (2010), Fratelli coltelli. 1943-2010: l’Italia che ho conosciuto (2010).
Autore: Giorgio Bocca
Titolo: Grazie no. Sette idee che non dobbiamo più accettare
Editore: Feltrinelli
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo: 10 euro
Pagine: 112