“Mi capita spesso di sognare mia sorella che se ne è andata più di dieci anni fa“. È l’incipit de “La grande festa” di Dacia Maraini (Rizzoli 2011) forse il romanzo più intimo di una delle maggiori scrittrici italiane contemporanee.
Rievocando i propri cari scomparsi, il figlio mai nato “strano, soffrire tanto per un figlio mai conosciuto!”, la sorella Yuki, il padre Fosco, Alberto Moravia, il grande amico Pier Paolo Pasolini “lo immagino sempre in movimento come quando viaggiava con noi“ e il suo ultimo compagno Giuseppe Moretti, i quali continuano a vivere “nel giardino dei pensieri lontani“, l’autrice ci racconta cosa voglia dire sentirsi una sopravvissuta, accettare il momento del distacco perpetuando la memoria e il ricordo. “Una notte ho sentito Alberto che mi diceva “Ho un po’ freddo quaggiù. Mi metti una coperta?“. Quante volte ci siamo chiesti “quale sia questo luogo da cui sembrano guardarci i morti, questo luogo in cui i nostri cari scomparsi appaiono più vivi di noi“ soprattutto quando si manifestano nei nostri sogni e ci parlano. Secondo il teatro Nō giapponese il luogo ha la forma “di un’isola dai contorni sfumati e vibranti” dove “soffiano venti dolci, benevoli“. I defunti hanno sempre qualcosa da comunicare ai vivi “si tratta di intenderli. Non sempre è facile, perché il loro linguaggio è come il posto in cui abitano: isole sospese sulle acque dai contorni sfumati e frastagliati. Qualcuno li ha definiti Paradiso e Inferno“. Sono le prime pagine di un intenso memoir che sembra esortare chi legge a suggellare una continuità tra chi ha vissuto, è andato via e chi resta. “Solo le storie sono capaci di colmare gli squarci del dolore. Solo le storie ci aiutano a sopravvivere”.
“Quando non sarò più in nessun dove e in nessun quando, dove sarò, e in che quando?” L’autrice ha posto questa frase tratta da una poesia di Giorgio Caproni all’inizio del suo libro e quando le domandiamo il motivo, ci risponde “Ho scelto la poesia di Caproni perché in fondo il libro è fatto di domande, non ci sono delle risposte sicure, sono tutte domande, anche quella di Caproni è una domanda: sul quando e sul come“. Se è vero che “il compito, dopo la morte di una persona amata è quello di imparare a coabitare con il suo ricordo“, Dacia Maraini offre al lettore i suoi personali ricordi. Ecco la lucida cronaca della scomparsa di Moravia “Alberto è morto nel modo più rapido e indolore… una morte che assomiglia al suo carattere spiccio e razionale, impaziente e schietto”. Una dipartita rapida, dura da accettare, perché inaspettata in un uomo che era stato fino alla fine vitale e curioso della vita. “Al pari di mia madre Alberto per me rappresentava l’eternità. Non ho mai pensato alla sua morte“. Le pagine dedicate alla crudele malattia che ha colpito la sorella Yuki, il cui viso “sereno e integro” appare spesso nei sogni della scrittrice, sono le più toccanti. Yuki che amava cantare sicuramente in “quel giardino di delizie, in quel deserto un poco inquietante in cui si aggirano i morti, oggi canta” perché “per lei il canto era respiro“. L’autrice ci confida che “tutto è iniziato dalla scomparsa di mia sorella, quella è stata una cosa che non ho ancora digerito, perché è stata una cosa atroce, terribile. Mi è rimasta questa ferita però parlarne mi aiuta un po’ per prenderne le distanze, per avere un minimo di serenità“. Giuseppe Moretti “un uomo capace di farsi voler bene da tutti“, stroncato a soli 47 anni da un male incurabile, morto il primo giorno “di una mattina luminosa, dal sole tiepido“ del 2009 “mentre la città si addormentava stanca dei festeggiamenti“.
“La nostra società ha la tendenza a rimuovere l’idea della morte e i morti, mentre gli orientali hanno questa idea che i morti stanno in mezzo ai vivi stabilendo un dialogo continuo. Trovo tutto ciò più umano”. Una scelta coraggiosa quella di affrontare un tema ostico che si è rivelata vincente. Il romanzo uscito lo scorso 16 novembre a poco più di una settimana dalla pubblicazione ha venduto 60mila copie. “È un tema che tocca molte persone. Continuo a ricevere molte lettere, c’è chi mi scrive che ho parlato anche dei loro cari scomparsi e chi invece mi ringrazia perché leggendo La grande festa, si è commosso. Per quanto sia possibile ho cercato di trattare l’argomento con una certa serenità e leggerezza nonostante siano temi drammatici che mi hanno colpita dal vivo. Era un libro che covava da molto tempo evidentemente, da quando ho perso delle persone che se ne sono andate quando erano ancora giovani. Ho sentito la necessità, il bisogno di parlare di tutto ciò, il libro è venuto fuori un po’ da solo, stava lì, era necessario scriverlo”.
Un romanzo emozionante mai retorico ricco di citazioni, tra le tante scegliamo quella di Thornton Wilder . “C’è un paese dei vivi e un paese dei morti che si fronteggiano e si guardano senza mai toccarsi“. Dopo aver terminato di leggere il volume ci torna alla mente una poesia di Attilio Bertolucci Assenza (1929). “Assenza, più acuta presenza. Vago pensier di te. Vaghi ricordi turbano l’ora calma e il dolce sole. Dolente il petto, ti porta come una pietra leggera“.
Dacia Maraini è autrice di romanzi, racconti, opere teatrali, poesie e saggi editi da Rizzoli e tradotti in venti paesi. Nel 1990 ha vinto il Premio Campiello con La lunga vita di Marianna Ucria e nel 1999 il Premio Strega con Buio. Scrive sul Corriere della Sera. Tra i suoi romanzi ricordiamo Memorie di una ladra (1973), Isolina (1985), La lunga vita di Marianna Ucria (1990), Bagheria (1993), Voci (1994), Dolce per sé (1997) e Colomba (2004) e Il treno dell’ultima notte (2008). Nel 2009 ha pubblicato i racconti La ragazza di via Maqueda (Rizzoli). Nel 2010 la raccolta di scritti di viaggio La seduzione dell’altrove (Rizzoli).
Autore: Dacia Maraini
Titolo: La grande festa
Editore: Rizzoli
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 16 euro
Pagine: 224