“Ha talento in quelle mani“. Le lunghe dita sottili e affusolate di Aurora Zanon raffigurate ne “La miniaturista” di Silvia Mazzola (Fazi) possedevano un talento innato sia per la lavorazione del merletto sia per la pittura di squisite miniature.
Nella “Venezia città anfibia” del XVIII Secolo la famiglia Zanon, formata da Alvise esattore delle tasse della Serenissima, da Clara che creava e vendeva delicati merletti e dalle tre figlie Aurora, Giovanna e Teresa, viveva in un palazzetto a San Vio “che si affacciava su un lato del Canal Grande”. Aurora era destinata a diventare una valente ricamatrice se un giorno “per volere del destino, non per scelta, come spesso succede nella vita” la quindicenne non avesse scoperto la passione innata per il disegno ricalcando un motivo per i merletti. “Forse il tuo destino è diventare pittrice“. L’ambiziosa Clara intuì il talento della figlia “voi siete nata per dipingere” quindi Aurora abbandonò le lezioni di cucito, che le impartivano le gemelle Bibbiena nell’isola di Burano, per mettere a frutto la sua abilità artistica sotto la guida dell’abate Luigi Fanelli. Aurora lavorava incessantemente per sostenere l’economia familiare messa di continuo sotto pressione dalla madre sempre più desiderosa di guadagno. Presto l’allieva superò il maestro diventando “la migliore miniaturista e pastellista di Venezia” sia per la nobiltà lagunare sia per “i ricchi foresti“. I pennelli di Aurora erano le sue dita capaci di rivelare l’anima dei personaggi ritratti. “Feci dell’arte la mia virtù“. Se sulla pergamena i colori potevano apparire preziosi, dipinti direttamente su un fondello d’avorio “cantavano con la voce degli angeli“. Era questa la grande intuizione artistica di una giovane donna non ancora ventenne già appartenente all’Accademia di San Luca a Roma. “Coperto dai colori, l’avorio aveva perso la sua freddezza e la mia cliente aveva acquistato l’immortalità“. Dietro il dono che Aurora aveva ricevuto da Dio si celava la tristezza della ragazza per la sua condizione di donna sola in balìa di una madre egoista ma soprattutto preda e oggetto del nocivo desiderio dell’odioso abate Fanelli. “Il nero del suo abito, il nero dell’uomo di chiesa, un tempo rassicurante, era ora ai miei occhi quello di un corvo venuto a rubare le sementi dei campi.“
Nel suo primo romanzo la storica dell’arte Silvia Mazzola attraverso l’io narrante di Aurora Zanon dipinge una figura di donna complessa, determinata e volitiva che grazie alla sua dote artistica dopo aver compiuto scelte dolorose diventa artefice del proprio destino in un mondo ostile e pieno d’insidie. “Decidiamo così poco delle nostre vite, noi mortali“. Perfettamente descritta l’atmosfera di Venezia dove allora “coabitavano bellezza e marciume“, descritta fin nei minimi particolari con la stessa vivida lucentezza che richiama i dipinti di Canaletto, che si possono ammirare al secondo piano dei saloni recentemente restaurati della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma dedicati alla pittura settecentesca. Tra le pagine di un romanzo affascinante e coinvolgente nel quale si muovono personaggi sia frutto della fantasia dell’autrice sia realmente esistiti, rivive l’atmosfera di una città unica al mondo sospesa tra due elementi: l’acqua e l’aria. “Le coincidenze sono come una polvere mortale che s’insinua silente nelle pieghe della nostra vita”.
Signora Mazzola, per quale motivo ha posto all’inizio del romanzo una frase del poeta russo Joseph Brodsky tratta dal poema in prosa Watermark (1)?
“Perché l’acqua in questo romanzo è importante; è l’elemento con cui Aurora Zanon dipinge la sua vita. Il libro inizia e finisce con un viaggio in barca e in queste traversate le speranze, i dubbi e le paure di Aurora vengono a galla.”
Si è ispirata a una pittrice in particolare per tratteggiare la figura e la personalità di Aurora Zanon?
“Sì, alla pastellista veneziana Rosalba Carriera che come Aurora ha viaggiato e dipinto in varie corti europee del settecento e come Aurora ha due sorelle e passa dal merletto alla miniatura e al pastello.”
Lord Edward Marvell “milordo inglese” del quale s’innamora Aurora è il simbolo del viaggiatore benestante di quel tempo in visita in Italia per il Grand Tour?
“Sì, certo, amante dell’arte e del nostro paese, che vede il Grand Tour come un momento di educazione, svago e come opportunità per iniziare e/o incrementare la sua passione per il collezionismo d’arte, ma anche per innamorarsi.”
“Feci di me stessa un ornamento“. Si può considerare Aurora come una donna moderna per i canoni dell’epoca grazie alla sua professione che la conduce attraverso l’Europa?
“Più che una donna moderna direi un’artista di successo. Aurora è una donna che esegue il suo lavoro con talento. La sua abilità è stata quella di elevare quei ritratti che i committenti le richiedevano da semplici souvenir a opere d’arte, con uno stile proprio. Come Rosalba Carriera anche Aurora Zanon ha creato coi suoi lavori un gusto moderno. Questo è il bagaglio che si è portata in viaggio e che l’ha resa artista e una donna con una vita diversa dalle altre.”
Nel corso del Suo lavoro di storica avrà certamente scoperto quadri dipinti da artiste sconosciute. È stato anche per questo motivo che ha dedicato il libro a “tutte le pittrici e artiste sfuggite alla rete della storia dell’arte“?
“La prima pittrice che mi ha affascinato per la sua carriera nelle corti europee è stata Sofonisba Anguissola che nel Cinquecento è partita da Cremona per approdare alla corte di Madrid. Quando ho scoperto le miniature e i pastelli di Rosalba Carriera e ho visto che la sua arte l’aveva portata a viaggiare e girare l’Europa con un lavoro, l’ho trovato straordinario.”
“Ho iniziato a studiare storia dell’arte a Londra e uno dei primi libri che lessi sulle donne e l’arte fu The obstacle race di Germaine Green, un excursus di artisti donne, per poi passare ad altri testi come il trattato Donne, arte e potere e altri saggi di Linda Nochlin, leader negli studi di storia dell’arte al femminile. Testi questi che evidenziano come le donne artisti prima di essere riconosciute come artisti in sé e per sé, sono spesso considerate sorelle di, mogli di, figlie di o amanti di. Donne brave artiste ce ne sono sempre state, è la storia scritta successivamente che le ha emarginate. Ma tuttora a poco a poco tutto questo sta venendo rettificato.”
Per descrivere la Venezia dei primi anni del Settecento quali luoghi della città ha visitato e che genere di fonti ha consultato?
“Ca’ Rezzonico, in assoluto tempio del Settecento veneziano, le pinacoteche con i quadri di Canaletto, Guardi, Longhi, Tiepolo e Bellotto. Ho visitato il museo del tessuto e del costume di Palazzo Mocenigo e quello del merletto a Burano. Ma altrettanto importanti sono state le visite al caffè Florian, per assaporare la cioccolata e il formicolio della piazza; il girovagare fra le calli scure e i sottoportici e il soffermarsi a guardare la laguna da Campo San Polo con la vista dell’isola di San Michele. Per quanto riguarda le fonti ho letto gli estratti del diario di Rosalba Carriera nella biografia dell’artista scritta da Bernardina Sani, libri sull’abbigliamento del Settecento, sui ventagli, sulle tabacchiere, sulle imbarcazioni veneziane e ovviamente libri sulla tecnica della miniatura e del pastello.”
(1) The boat’s slow progress through the night was like the passage of a coherent thought through the subconscious.
Silvia Mazzola nata a Milano ma inglese d’adozione, vive a Londra da oltre trent’anni con il marito e le due figlie. Storica dell’arte è coautrice di una guida su Roma. Ha pubblicato con Mursia libri di cucina e sulla cultura inglese (La lingua nel piatto 2006, Mangiamore 2007, Londra e Contorni 2009).
Autore: Silvia Mazzola
Titolo: La miniaturista
Editore: Fazi
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 17,50 euro
Pagine: 441