Libro ricco, densissimo, ma chiaro e lineare questo studio sulla “Paranoia“ dello psicoanalista junghiano Luigi Zoja (Bollati Boringhieri). Di che cosa parliamo. Non di un blocco psichico manco fosse un tumore – tanto per chiarire, da subito. Non v’è traccia di basi organiche, e paranoici lo siamo un po’ tutti. L’oggetto d’indagine di Zoja è la patologia, percorsa dalla tematica individuale alle tragedie politico-culturali che ha determinato soprattutto nel corso del ‘900.
La paranoia può essere un eccellente motivo letterario, lo sa lo stesso Zoja, che principia il lavoro da quell’eccezione tragica che è il folle Aiace, passando per Caino e il “delirio” di Colombo prima di arrivare, gradualmente, ai milioni di morti della diade Hitler-Stalin – per tacere degli altri (di più, potremmo individuare nella paranoia una vera e propria macchina creativa – basti pensare a tanta letteratura americana il cui approccio narrativo alla storia degli Stati Uniti ha lasciato frutti succosissimi, ma ci vorrebbe un libro a parte).
Al principio, nel singolo, v’è un’insicurezza costitutiva, un disagio ingestibile riversato all’esterno. Se ne dà la colpa agli altri; ci si sente braccati, sempre in pericolo, ma ombre e fantasmi sono auto-indotti, secondo una lingua mitopoietica ma spiraliforme, avvitata su se stessa, fomentata dal sospetto e quindi rivolta a una lettura circolare dei segni. Il paranoico è incapace di fuoriuscire in direzione dell’altro così com’è, visto che lo ha già confezionato nella sua mente – e, va da sé, preso di mira per paura di soccombere. Di solito privo di senso dell’umorismo, è così diffidente da temere che il riso sia sempre diretto contro di lui. Perché sarà anche una forma di “follia lucida”, la sua, ma lo è solo nel senso che l’articolazione dei ragionamenti si stringe compatta e a suo modo conseguenziale sulla base delirante di partenza.
Il paranoico è bravo nel dissimulare, non è detto che dia di matto come può succedere a uno schizofrenico, e persino un banale nevrotico può superficialmente sembrare più a rischio di un paranoico. Dal punto di vista psichiatrico, sostiene l’autore, alla base è presente una vertiginosa fragilità emotiva dovuta a un’infanzia fatta di freddezza affettiva. E mancanza di autostima. Talché, il soggetto si difende da tutto questo costruendo teorie complottiste, compensative della sua sofferenza, adatte a trovare un senso, una causa alla sofferenza stessa. S’involtola per lo più in una solitudine psichica che facilmente produce invidia e megalomania. E trasferisce l’errore di base in un senso di persecuzione a cui ha necessità di rispondere aggressivamente. Dismettendo qualsiasi responsabilità in proprio.
Se tutto ciò lo trasferiamo su un piano storico-politico, abbiamo davanti a noi gli scenari apocalittici del ‘900: delirio, necessità del nemico, fobia dell’accerchiamento. È questo l’aspetto più interessante del corposo tomo, il coté politico, con le sue truppe variamente armate del razzismo, dei nazionalismi e dei totalitarismi. I piani di sterminio dei nazisti sugli ebrei erano “preventivi”, quelli dei turchi sugli armeni nacquero dall’inconscio collettivo. Fallito nella Grande Guerra l’attacco contro i russi, gli ottomani presero a piegare la sconfitta in termini di accerchiamento e complotto, secondo un principio di inversione delle cause che Zoja ritiene tipico della sindrome paranoica. Come è di Hitler attribuire agli ebrei l’arte di “costruire calunnie”, o di macinare il mito di Sigfrido della “pugnalata alla schiena” (benché la teoria della congiura ai danni dei tedeschi da parte degli alleati fosse stata alimentata dagli errori degli stessi), così in Stalin, la figura del capovolgimento è il motore dell’azione: georgiano che prima si fa chiamare Koba come l’eroe della resistenza ai russi, poi sceglie di “diventare” Stalin (l“uomo d’acciaio”, in lingua russa, peraltro…).
Per Zoja, l’intolleranza del “pensiero” paranoico ha prodotto catastrofi umane più massicce di quelle a carico delle grandi epidemie, considerando che la moltiplicazione dei messaggi della nostra epoca ha permesso a molti fenomeni di assumere un carattere collettivo.
Resta solo una domanda: con tutte le caratteristiche cifrate nella patologia in esame, perché Berlusconi è citato solo in una nota?
Luigi Zoja, già presidente della IAAP, l’associazione che raggruppa gli analisti junghiani nel mondo, ha lavorato a Zurigo, New York e Milano. I suoi testi sono stati tradotti in quattordici lingue. Tra i saggi più recenti: Storia dell’arroganza. Psicologia e limiti dello sviluppo (2003), La morte del prossimo (2009) e Centauri. Mito e violenza maschile (2010). Presso Bollati Boringhieri sono usciti: Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre (2000), Giustizia e Bellezza (2007), Contro Ismene. Considerazioni sulla violenza (2009) e Al di là delle intenzioni. Etica e analisi (2011). Ha vinto per due volte (2002 e 2008) il Gradiva Award, assegnato ogni anno negli Stati Uniti alla saggistica psicologica.
Autore: Luigi Zoja
Titolo: Paranoia (la follia che fa la storia)
Editore: Bollati Boringhieri
Pagine 468
Prezzo: 25 euro