La descrizione della campagna toscana rappresentata da Marco Vichi ne “La forza del destino” (Guanda 2011) ultima imperdibile avventura del commissario Franco Bordelli, assomiglia a un dipinto del pittore macchiaiolo Giovanni Fattori.
“La vista si perdeva lontano… file di cipressi, vigne, oliveti, distese di terra rossastra, colline morbide con i crinali ricoperti di boschi neri che al tramonto diventavano viola, come in certi quadri dell’Ottocento”.
Dopo i tragici fatti raccontati in Morte a Firenze dove il commissario Bordelli non aveva potuto arrestare i veri colpevoli dell’assassinio del piccolo Giacomo “si era lasciato prendere dal desiderio di giustizia e dalla rabbia… e aveva sbagliato” ci ricorda l’autore, il poliziotto amareggiato si era dimesso dopo vent’anni di servizio e aveva cambiato completamente vita e abitudini. Infatti, Bordelli era venuto via dal quartiere di San Frediano “era riuscito a vendere la casa di via del Leone e aveva comperato un casale in campagna, nel comune di Impruneta”. Un luogo isolato e selvaggio, situato lungo una strada sterrata dove non si avventurava mai nessuno. “Hic sunt leones”. In questa grande casa padronale su due piani circondata da “un ettaro di terreno incolto con un centinaio di olivi abbandonati”, Franco aveva imparato a coltivare un piccolo orto aiutato dall’abile scassinatore Ennio Botta che possedeva la stessa faccia tosta del ladro interpretato da Totò ne I soliti ignoti. “Aveva amato quella casa a prima vista, come gli capitava a volte con una donna che vedeva passare per strada”. “Nella realtà il casale di Bordelli è più di uno: ho rubato le caratteristiche da diverse case coloniche che conosco bene” ci ha rivelato Vichi. Nella fredda primavera seguita all’alluvione di Firenze, avvenuta nell’autunno del 1966, immerso nel silenzio della sua grande casa l’ex commissario ripensava a Eleonora. La sua donna era stata “punita senza avere nessuna colpa, violentata brutalmente da due figuri al solo scopo di lasciare un messaggio a lui, a Bordelli, al commissario rompicoglioni che cacciava il naso dove non doveva”. Come Firenze che ancora portava sulle facciate dei palazzi quella “spessa riga nera” simbolo dell’alluvione che aveva piegato moralmente e materialmente la città ma che non l’aveva di certo sconfitta, allo stesso modo Bordelli cercava di ricominciare una nuova vita domandandosi se fosse “il destino o il caso a governare il mondo” e se “la bontà e la cattiveria fossero qualità innate”. Il lupo perde il pelo ma non il vizio ricordò all’ex commissario la giovane guardia Piras e Bordelli “che presto si rese conto che il suo lavoro gli mancava”, riprese a far lavorare il suo istinto della caccia al colpevole ad ogni costo, perché un “ex guastatore del Battaglione San Marco ha una parola sola”.
Quando abbiamo domandato a Marco Vichi il significato del titolo del romanzo che evoca un’opera di Giuseppe Verdi, l’autore sinteticamente ha risposto “Non poteva che avere questo titolo, chi lo leggerà capirà bene il perché”. Come dargli torto considerato che il malinconico ma ostinato ex commissario ha come compito personale quello di “portare a termine il disegno del destino”? Nella sua cascina mentre fuori il vento “scuoteva con violenza i rami degli olivi” Bordelli amava leggere i classici russi, unico testimone della sua solitudine Blisk “cagnolone giallastro a pelo corto”. La ricostruzione dell’epoca appare perfetta ci si ritrova in piena atmosfera anni Sessanta. “Mi piace cercare di ricostruire un’epoca al tempo stesso così lontana e così vicina”. Bordelli guidava un Maggiolino, la sera cenava di fronte alla televisione guardando Carosello e accompagnava al cinema la sua vecchia amica Rosa a vedere A piedi nudi nel parco pellicola allora in voga. Anche se Franco non poteva più rinunciare a quella pace, alla visione “sul crinale della collina di fronte” di un castello che nascondeva un mistero, l’ex poliziotto spesso andava a Firenze per osservare il lento ma progressivo rinascimento della città dei Medici dove “la riga di nafta” incrostava ancora le facciate di chiese e palazzi, molti negozi erano sventrati e alcune botteghe non avevano ancora riaperto. Nonostante ciò nella primavera “che stava avanzando a strattoni” la gioventù sfrecciava su Vespe e lambrette e le ragazze indossavano vertiginose minigonne che “facevano l’effetto di un pugno in testa”.
Dopo aver terminato di leggere con autentico piacere La forza del destino, il lettore più accorto ha l’impressione che lo stesso autore possa essere rimasto sorpreso dal dipanarsi della trama del romanzo, come se lo stesso Bordelli si rivelasse a lui e a chi legge pagina dopo pagina. Del resto Vichi nelle pagine finali ringrazia “il commissario Franco Bordelli, per avermi generosamente raccontato una delle storie più difficili della sua vita”. Il metodo di scrittura dello scrittore aggiunge fascino e suggestione a un libro ambientato sì negli anni Sessanta ma che per avvenimenti e situazioni sembra che narri l’Italia del 2011 con le sue luci e le sue tante ombre. “Gli sembrava di essere finito in una storia già scritta, e non poteva fare altro che girare le pagine”.
Marco Vichi è nato nel 1957 a Firenze e vive nel Chianti. È autore di racconti, testi teatrali e romanzi. Presso Guanda ha pubblicato i romanzi quali L’inquilino, Donne, donne, Il brigante, Nero di luna, Un tipo tranquillo; le raccolte di racconti Perché dollari? e Buio d’amore; la serie dedicata al commissario Bordelli Il Commissario Bordelli, Una brutta faccenda, Il nuovo venuto, Morte a Firenze (Premio Giorgio Scerbanenco – La Stampa 2009 per il miglior romanzo noir italiano); e la graphic novel Morto due volte con Werther Dell’Edera. Ha inoltre curato le antologie Città in nero e Delitti in provincia. Il suo sito internet è www.marcovichi.it
Autore: Marco Vichi
Titolo: La forza del destino
Editore: Guanda
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 18,50 euro
Pagine: 370