A 5 anni da “Figlia del silenzio“, Kim Edwards scrive “Un giorno mi troverai” con temi e immagini suggestive, dove la vicenda personale di Lucy Jarrett, con le molte questioni irrisolte, è intimamente legata al passato della sua famiglia.
Ecco l’intervista all’autrice.
Quanto hanno influito le aspettative create dal successo del suo esordio, Figlia del silenzio, sulla stesura di questo secondo romanzo?
“Grazie per questa bella domanda. Devo dire che, sì, il primo libro è stato un successo incredibile che mi ha riempito di gioia e di felicità. Però, allo stesso tempo sono stata molto fortunata perché in realtà io avevo già cominciato a scrivere questo libro – che è stato da poco pubblicato in Italia – dopo la fine della stesura di Figlia del silenzio, ma prima che uscisse nelle librerie. Quindi, prima che Figlia del silenzio venisse pubblicato, io mi ero già dedicata da un anno alla scrittura di questo romanzo. Era un anno, cioè, che stava prendendo forma Lucy Jarrett dentro di me. Ormai la conoscevo, ero veramente coinvolta dalla sua storia, ma poi, visto il successo del mio primo romanzo, mi sono dovuta fermare, ho dovuto smettere di scrivere per occuparmi della promozione di Figlia del silenzio. Sono potuta ritornare al mio libro e a Lucy Jarrett soltanto due anni dopo; comunque avevo già un punto di partenza, un romanzo che mi stava aspettando e che non dovevo cominciare da zero. Ciononostante, mi ci sono voluti ben cinque mesi per ritrovare quella pace che effettivamente mi serviva per scrivere bene: ho dovuto isolare il telefono e spegnere internet, così da diventare una vera e propria eremita e ritornare a immergermi nella storia che avevo iniziato tempo prima.”
Ho letto che Un giorno mi troverai ha già vinto il premio dei librai indipendenti: che valore hanno per lei questi riconoscimenti letterari, oltre, naturalmente, al successo decretato dai lettori?
“Sono stata felicissima di ricevere questo premio da parte dei librai indipendenti che, negli Stati Uniti, sono il miglior lettore che si possa immaginare: sono persone colte che hanno una profonda conoscenza della letteratura, che leggono molto. Quindi il fatto di aver ricevuto un premio proprio da parte loro mi ha fatto enormemente piacere.”
Una delle scene iniziali descrive alcune scosse di terremoto in Giappone che nel romanzo provocano solo danni lievi. Leggendo, non ho potuto fare a meno di pensare al terremoto, e poi al conseguente tsunami, che ha colpito il Giappone qualche mese fa. So che lei ha vissuto in questo paese: come si fa a convivere con questo pericolo?
“Ci tengo a precisare che il romanzo è stato scritto prima del tremendo terremoto che ha colpito il Giappone e, in quell’occasione, il mio pensiero e il mio pensiero è andato naturalmente alla popolazione, cui mi sono sentita molto vicina col cuore. Ho vissuto due anni in Giappone, nella città di Odawara, che si trova a un’ora di macchina da Tokio. Mi ricordo un’estate in particolare, durante la quale c’erano state moltissime piccole scosse telluriche, alcune veramente lievi, altre più intense, da far cadere i libri dalle mensole. Per me quella è stata un’esperienza terrificante, mai provata prima. Nel momento in cui siamo arrivati in Giappone, siamo stati subito accolti dai vicini di casa che ci hanno portato piccoli doni e subito ci hanno assistito spiegandoci che cosa fare in caso di terremoto. Ci avevano consigliato di chiudere il gas, di stare attenti alle sirene degli tsunami e ci avevano spiegato come scappare in caso di allarme. Questo mi aveva dato la sensazione che, tutto sommato, potevo tenere sotto controllo la paura e dominare un pochino questi movimenti della terra. In realtà, dopo il grande terremoto che ha colpito il Giappone, mi sono resa conto come la sensazione di avere tutto sotto controllo fosse assolutamente falsa. C’è poco da fare, anzi, non c’è nulla da fare quando un fenomeno di così grande potenza colpisce il luogo dove abiti. Quanto ho cominciato a scrivere il romanzo, sono ritornata con il pensiero ai sentimenti di instabilità e di inquietudine che si provano nel caso di terremoti ed ho pensato che fosse il modo migliore per descrivere i sommovimenti interiori di Lucy Jarrett mentre, a poco a poco, si riavvicina al suo passato.”
Lucy, dal Giappone, si decide a tornare a casa, sulle rive di un lago. Si può dire che l’acqua, oltre ad essere l’oggetto del lavoro di Lucy e del suo fidanzato ed il luogo dove il padre di Lucy è morto, possiede una forte valenza simbolica?
“Quello che ha detto sull’acqua, nel romanzo, è assolutamente esatto, io però non lo sapevo fin dall’inizio. Quando ho cominciato a scrivere il romanzo, non pensavo di presentare l’acqua in questo modo. Semplicemente pensavo che il lago fosse un luogo stupendo, fosse il posto ideale. Poi ha cominciato ad avere importanza nella vita personale di Lucy. Il simbolismo nel libro che ritroviamo legato all’acqua, si è evoluto ed ha preso forma in maniera organica e naturale. Non c’è nulla di imposto dall’alto, da me. Inoltre vorrei aggiungere che Lucy intraprende questa ricerca nel suo passato che è anche una ricerca dentro di sé, che l’aiuterà a risolvere alcuni conflitti interiori, a farle trovare finalmente la pace di cui ha bisogno. Una pace che trova anche nell’acqua. Allo stesso modo sono importanti i sogni, che rappresentano la vita interiore del personaggio. E poi l’acqua è un elemento che può cambiare il proprio stato da liquido a solido ad aeriforme, così come succede al vetro. Insomma, mi piaceva la possibilità di attingere a tutte queste possibili metafore legate all’acqua.
“In effetti, i sogni aprono diversi capitoli e sembrano esprimere la necessità di rinnovare il rapporto con se stessi, la necessità di ascoltare il proprio io interiore, ma anche la necessità di un rinnovato rapporto con la natura. Tutte queste immagini si collegano bene una all’altra. Ecco perché, dicevo prima, queste idee si sviluppano in maniera organica senza che io l’abbia imposto. E’ vero, Lucy trova un nuovo rapporto con se stessa – e questo è possibile man mano che la donna viene a conoscere sempre di più il suo passato – così da riconciliarsi con molte delle vicende che le avevano causato dolore. Allo stesso modo, cerco di esplorare questo nuovo modo di relazionarsi alla terra e all’ambiente naturale. Il nostro modo di utilizzare la terra ci ha spesso isolato dagli altri: abbiamo avuto la sensazione di essere indipendenti dal mondo naturale, che non esistono rapporti fra noi e la natura. Lucy, così come altri personaggi, rimettono in discussione questo concetto: alcuni lo fanno in termini positivi, altri in termini negativi, ma la natura rappresenta una forza importante.”
Come si è documentata, invece, per la stesura delle parti riguardanti la lavorazione del vetro e delle vetrate?
“Mi incuriosiva molto il mondo del vetro, anche perché poteva essere utilizzato come metafora. Fin dall’inizio della stesura del libro mi sono documentata, ho studiato e mi sono resa conto che spesso queste vetrate venivano commissionate da persone importanti che chiedevano a volte di inserire all’interno il simbolo della famiglia o immagini ad essa legate. Questo mi ha fatto riflettere sulla possibilità che tanti piccoli messaggi potessero essere ritrovati al loro interno. Mi è sembrata un’idea molto interessante, così ho cominciato a leggere e ad approfondire le mie informazioni. Ho frequentato anche diverse volte una vetreria nella città in cui vivo, per assistere in prima persona a tutte le fasi della lavorazione di un prodotto. Un processo che ho trovato incredibilmente interessante: io stessa ho provato a soffiare nel vetro ed è stata un’esperienza di cui volevo parlare nel libro.”
Lucy ha vissuto a lungo con il senso di colpa per la morte del padre, mentre la madre le consiglia di non vivere con il peso di tutti i “se”: sono due filosofie di vita diverse, se non opposte…
“Questa è la ricerca principale che Lucy conduce nel corso di tutto il romanzo: ritorna spesso alla notte della morte del padre e si rende conto di quale fosse il suo ruolo in questa vicenda. La verità però è molto complicata: in un certo senso, lei non ha responsabilità in questa tragedia e, mano a mano che il romanzo si sviluppa, Lucy capisce qual è stato il suo “contributo” e quali sono state le sue responsabilità in quell’evento.”
Fra i tanti temi presenti nel romanzo, c’è la lotta per l’emancipazione femminile: spesso diamo per scontati diritti per i quali molte donne si sono battute ed hanno fatto sacrifici.
“In realtà, il tema della lotta per i diritti delle donne è legato alla geografia ed alla storia dei luoghi dove si svolge il romanzo: è ambientato nella regione dei Finger Lakes, nello stato di New York, che è l’area in cui io sono cresciuta, e si svolge nel periodo durante il quale sono cominciate le lotte per l’emancipazione delle donne. E’ qui che nel 1848 è stata promulgata la prima dichiarazione per i diritti delle donne, quindi è davvero un luogo storico molto importante, da questo punto di vista. Ci sono voluti poi settantadue anni prima che le donne ottenessero il diritto di voto e nessuna delle suffragette della prima dichiarazione è riuscita a vivere fino a quel giorno. Ho cominciato un percorso di ricerca su questi avvenimenti, mentre prima possedevo solo informazioni generiche. A poco a poco ho approfondito le mie conoscenze e i dettagli sui sacrifici delle donne americane per avere diritti che oggi diamo per scontati. Quando ho cominciato a raccontare la vita di Rose, mi sono resa conto come questi temi fossero collegati e mi sembrato che il movimento delle suffragette potesse essere il modo migliore per tenere unite tutte queste storie.”
Conosciamo Rose attraverso le sue lettere, in un linguaggio che ho trovato molto moderno: è stata una precisa scelta stilistica?
“Rose era sicuramente una donna molto più avanti rispetto ai suoi tempi: vedeva un futuro diverso, che nessuno, fino a quel momento, si era immaginato. Ecco perché le sue lettere esprimono questo modo di vedere così moderno, rispetto alle donne del suo tempo. Il linguaggio che usa, inoltre, dipende anche dal fatto che, all’inizio, queste parti non erano state concepite nella forma di lettere: solo in un secondo tempo ho deciso di trasformare la narrazione in una corrispondenza epistolare. Forse il suo stile dipende anche da questo.”
Per concludere, la sua è una scrittura molto “sensoriale”…
“Credo che l’utilizzo dei sensi aiuti a creare il mondo di finzione a vantaggio del lettore. Penso cioè che, se riesco a trasmettere, a far percepire ai lettori il mondo in cui vivono i personaggi attraverso i sensi, forse i lettori avranno più facilità a mettere piede in questo mondo di finzione e a diventare parte di esso.”
Kim Edwards insegna letteratura inglese alla University of Kentucky e vive a Lexington con il marito e due figlie. Ha raggiunto il successo mondiale con il suo romanzo d’esordio, Figlia del silenzio. Dopo la raccolta di racconti La madre perfetta è stato pubblicato il suo secondo romanzo, Un giorno mi troverai, molto atteso dai lettori e dunque balzato subito in testa alle classifiche statunitensi e inglesi.
Autore: Kim Edwards
Titolo: Un giorno mi troverai
Editore: Garzanti
Anno di pubblicazione: 2011
Pagine: 432
Prezzo: 18,60 euro
Articolo di Lidia Gualdoni