“L’onore perduto di Isabella de’ Medici” di Elisabetta Mori (Garzanti, 2011) è un affascinante affresco dell’Italia del Cinquecento vista attraverso lo sguardo di una “perfetta icona principesca”.
L’autrice costruisce una precisa mappa di un’epoca dal punto di vista politico, culturale e sociale.
“La tragica morte di Isabella de’ Medici, bellissima figlia di Cosimo I, per mano del marito, la fosca figura del duca di Bracciano, è uno dei miti fondanti del Cinquecento italiano” è la significativa frase dell’autrice che si trova nel prologo del volume. Elisabetta Mori pone in risalto le figure dei “principi fanciulli” Paolo Giordano Orsini d’Aragona signore dello stato di Bracciano e Anguillara “ultimo rampollo di una delle stirpi più antiche d’Italia” e di Isabella “figlia preferita di Cosimo de’ Medici”, i quali “erano pronti a essere utilizzati per le strategie politiche e militari”. Gli alberi genealogici degli Orsini e della casata fiorentina dei Medici, che si possono consultare all’inizio del libro, sono la testimonianza di tutto ciò. Domina nel saggio il personaggio di Cosimo, il quale sapeva che per mantenere il potere erano necessarie alleanze “solide e durature” come allora erano considerati i vincoli matrimoniali, visti come vere e proprie “azioni politiche”. La storia di Isabella e di Paolo Giordano Orsini fu anche una storia di “passione e violenza” scritta nei tanti faldoni e pergamene di famiglia, conservati a Roma come le lettere che marito “musino mio caro” e moglie si sono scambiati tra il 1556 e il 1576. “È così che Paolo Giordano Orsini e Isabella de’ Medici escono dal mondo della finzione per entrare nella Storia… ”.
Un saggio completo ed esauriente che si legge come un romanzo e conquista il lettore partendo dalla copertina che raffigura Isabella “ostinata e fiera” ritratta da un pittore anonimo del XVI Secolo. Proprio in questi giorni, presso i rinnovati saloni della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, il dipinto è esposto su un cavalletto al primo piano del nobile Palazzo. Dipinto che ha avuto un’importanza rilevante per la stesura del volume. “Il libro di Elisabetta Mori è così bello e interessante che ci ha fatto piacere mostrare il quadro della copertina del volume ai visitatori, la consideriamo una promozione di prestigio” ha dichiarato Anna Lo Bianco direttrice della Galleria d’Arte Antica di Palazzo Barberini.
“… si ha la conferma che ci troviamo comunque di fronte a una tragedia che ha a che fare con l’amore, con la morte, con il denaro e con le terribili armi della politica. Ed è questa la storia che andiamo a raccontare”.
Dottoressa Mori, possiamo considerare Isabella come degna erede delle donne del casato mediceo nelle quali “si fondevano egregiamente virtù maschili e femminili”?
“Sì, perché Isabella sapeva benissimo fin da piccola che nel gioco delle alleanze matrimoniali prima o poi sarebbe andata in sposa a un signore di un altro Stato. Sapeva che in caso di guerra avrebbe potuto prendere il posto del marito, quindi era stata preparata ad avere capacità di governo come del resto tutte le figlie dei signori italiani di quel tempo. Inoltre Isabella nella sua genealogia aveva due straordinarie donne, Caterina Sforza e Maria Salviati. Caterina Sforza era la bisnonna di Isabella e madre di Giovanni de’ Medici detto dalle Bande Nere. Sul coraggio della Signora di Imola e Forlì sono fiorite leggende, basti pensare che difese la fortezza di Castel Sant’Angelo a Roma con le artiglierie. Maria Salviati era la moglie di Giovanni dalle Bande Nere e madre di Cosimo I de’ Medici. Eleonora di Toledo, madre di Isabella, secondo gli ambasciatori veneti era lei la vera consigliera di Cosimo I. Isabella aveva degli esempi da seguire, sapeva che avrebbe potuto governare uno Stato, ma nello stesso tempo sapeva che doveva coltivare la sua bellezza, la sua eleganza, doveva occuparsi dell’educazione dei figli. Isabella doveva possedere tutta una serie di doti che le erano state richieste ed era preparata per questo anche per occuparsi del marito non prevaricandolo mai, ma usando la sua intelligenza politica.”
Il giovane Paolo Giordano, il cui modello di educazione era stato di stampo cavalleresco, era pronipote di due potenti e temuti pontefici. Ce ne vuole parlare?
“La nonna paterna di Paolo Giordano era Felice Della Rovere figlia illegittima del cardinale Giuliano Della Rovere, il futuro Papa Giulio II. La nonna materna di Paolo Giordano invece era Costanza Farnese figlia del cardinale Alessandro Farnese, cioè Papa Paolo III. Sia Felice sia Costanza erano state donne di potere anche perché i loro padri avevano conferito loro il governo di Stati. Queste due donne sono diventate il simbolo della corruzione e della lussuria che regnava sul soglio di Pietro. Paolo Giordano dunque aveva un albero genealogico sontuoso e complicato. L’educazione di Paolo Giordano si svolse alla corte di Papa Farnese, nella quale circolavano moltissimi personaggi. Il modello di educazione era cavalleresco e questo è attestato da tante piccole cose nelle vicende della sua infanzia, per esempio. La madre di Paolo Giordano, Francesca Sforza desiderava un figlio che rispondesse a un criterio ideale di principe destinato: il ragazzo doveva essere virtuoso, coraggioso, doveva saper maneggiare le armi ma sempre per cause giuste. Un novello paladino Orlando. Paolo Giordano alla morte della madre visse in casa del cardinale Sforza di Santa Fiora, grande mecenate e uno dei personaggi più eminenti della corte pontificia. Santa Fiora possedeva una delle più belle biblioteche di Roma. A casa del cardinale, frequentata da letterati e musicisti, Paolo Giordano avrà sicuramente conosciuto Michelangelo che stava costruendo per Santa Fiora la cappella funebre.”
Per quale motivo nello scacchiere politico del Cinquecento “la bella e fertile terra” del ducato di Bracciano rivestiva un’importanza notevole sotto molti punti di vista? “Prima di tutto perché il ducato controllava due importanti vie consolari la via Cassia e la via Aurelia, poi aveva l’accesso al mare con il piccolo centro di Palo. Inoltre il ducato di Bracciano delineava una fascia protettiva a nord di Roma ed era uno Stato autonomo all’interno dei territori pontifici. Quindi per i pontefici era un cuscinetto protettivo necessario a pochi chilometri da Roma. Per tutti gli altri il ducato rappresentava una magnifica preda.”
Che cosa l’ha affascinata del personaggio della figlia preferita di Cosimo I, la cui morte è stata da secoli avvolta da fosche dicerie e leggende?
“Mi ha affascinato il modo in cui Isabella si esprime nella corrispondenza, perché sembra di sentirla parlare. Lei non scrive, parla perché Isabella è schietta, naturale. Mi ha anche colpito il suo rapporto autentico con Paolo Giordano, lei è sicuramente più forte del marito al quale dà consigli, poi, però, si ritrae perché teme che lui si offenda… Isabella dà coraggio a Paolo Giordano, il quale ha la tendenza a deprimersi e allora lei lo incita. Le lettere riguardano tutto il periodo del loro matrimonio durato circa vent’anni. Mi ha inoltre affascinato l’idea di salvare Isabella dalla calunnia e anche Paolo Giordano, ovviamente. Questo è stato il mio obiettivo principale.”
Considerando il Suo lavoro di archivista, quali fonti e documenti ha consultato per scrivere la vicenda di Isabella de’ Medici e del suo tempo?
“L’Archivio Orsini è uno dei più grandi e importanti archivi d’Italia. L’Archivio Orsini si trova conservato una parte a Roma presso l’Archivio Storico Capitolino, l’altra parte purtroppo è finita presso l’archivio dell’University of California di Los Angeles (UCLA). Manca un importante tassello di un mosaico e questa è una cosa molto dolorosa. È stato venduto di nascosto negli anni Sessanta nonostante ci siano nel nostro Paese leggi che impediscono la vendita all’estero di archivi. In questi anni abbiamo fatto un gran lavoro di riordino dell’Archivio Orsini, di ricostruzione delle schede, di informatizzazione di vecchi inventari, sono state inserite su internet più di duemila pergamene con la possibilità di visualizzarle. Ho consultato anche l’archivio Mediceo per ovvie ragioni e quello Vaticano, l’archivio Estense di Modena. Fondamentali sono state inoltre le fonti visive quali gli affreschi di Formello trovati quando mi trovavo alla fine della stesura del libro, quando avevo capito come erano andate le cose. Gli affreschi si sono rivelati preziosissimi, perché mi sono vista davanti la fine della mia storia.”
Desidera rivelare ai nostri lettori l’emozione che ha provato quando ha visto il ritratto di Isabella esposto a Palazzo Barberini?
“È stata la sorpresa più bella ed emozionante, perché quando l’ho visto ho pensato che ce l’avevo fatta, che ero stata convincente, che Isabella aveva riacquistato il suo onore perduto e soprattutto il suo posto reale nella storia.”
Elisabetta Mori, archivista storica, lavora all’Archivio Storico Capitolino di Roma. È autrice di numerosi saggi sull’Italia del Rinascimento e studia da anni la figura di Isabella de’ Medici.