Più che un breve saggio impreziosito da belle citazioni “Scegliete! Discorso sulla buona e la cattiva televisione” di Paolo Ruffini (Add) è un lungo articolo scritto da un uomo che prima di lavorare in televisione è stato giornalista.
“L’unico sapere che si addice al giornalista è quello di non sapere”.
Nella Premessa del volumetto edito dalla casa editrice torinese, che pur giovane si è già distinta per qualità e raffinatezza editoriale, l’autore chiarisce a chi legge com’è nata l’idea del pamphlet. “L’accusa di complicità con l’elettrodomestico, colpevole di mancare al suo compito storico, mi era stata scagliata contro da uno dei miei migliori amici”. L’amico di Ruffini rassegnato ed esasperato vedeva nel tubo catodico “la causa, la radice di ogni male del tempo presente”. Nel grido “basta! Non accendo più la Tv!”, giudizio senza appello urlato non solo dall’amico dell’autore, ma dalla maggior parte di noi utenti c’era anche tutto quello che la televisione rappresenta, “il mondo che ogni giorno mostra. C’eravamo poi noi, specchiati e deformati come non vorremmo essere e però temiamo di essere diventati”. Soprattutto c’era secondo Ruffini la “negazione di noi stessi” e di tutta quella somma di “valori che quel «basta» voleva difendere, tradendoli invece. C’era il peggio in nome del meglio; il male in nome del bene, l’ingiusto in nome del giusto”. Scegliete! nasce quindi non solo “per il desiderio di mettere ordine nei miei pensieri”, come ha dichiarato Ruffini in un’intervista ma per rispondere a tutte quelle persone che dicono “basta” perché “ci sono momenti in cui bisogna avere il coraggio di dire basta, di prendere posizione”.
In 11 stringati e esaustivi capitoli il giornalista rievoca senza polemica o accenno di rancore le vicende di Rai 3 dalla primavera del 2002 cioè da quando è divenuto direttore. Paolo Ruffini che ha contribuito a creare programmi di culto e qualità come Ballarò, le inchieste di Report, il talk show culturale Che tempo che fa nell’access prime time “al posto dei giochini” e Vieni via con me, isole felici nel desolante e desolato panorama televisivo, ci indica quale debba essere lo spazio della nostra libertà partendo dal concetto che “il primo «basta», più che a questo o quel programma (anche il peggiore), va detto a chi pensa di limitare la libertà di pensiero, di opinione, e dunque anche di televisione”. Fondamentale appare quindi l’autonomia, la sovranità di scelta perché “non si rinuncia alla libertà nel nome di una presunta qualità o verità di Stato”. Per spiegare meglio ciò che intende dire l’autore si affida alle frasi pronunciate nel 1964 da Robert Kennedy in piena guerra fredda. “Un sistema fondato sulla libertà si regge sul presupposto che gli uomini, e le nazioni, hanno opinioni differenti; hanno il pieno diritto di avere opinioni differenti. Un sistema fondato sulla libertà crede che gli uomini progrediscano grazie alla discussione, al dibattito, ai tentativi, agli errori. … e considera il dissenso non come un tradimento nei confronti dello Stato, ma come un meccanismo sperimentato di progresso sociale. Per questo bisogna non solo permettere il dissenso, ma esigerlo. Perché ci sono sempre molte cose dalle quali dissentire”. La televisione attuale fatta di programmi costruiti per imbonire e imbambolare la mente di chi la guarda, di persone che urlano e si prevaricano l’una sull’altra è lo specchio della nostra società e riflette ciò che siamo diventati. La buona educazione di una volta è diventata un optional. “Il problema della televisione è che le parole le ha già tutte urlate”. Paolo Ruffini in questo saggio riflessione, venato di note biografiche, ricorda di essere nato nel 1956 “orgoglioso delle sue radici plurime” e di essere quasi coetaneo della televisione. Infatti, la prima trasmissione televisiva italiana fu realizzata ufficialmente nel 1954 dal Centro di Produzione Rai di via Verdi a Torino.
Antonio Affaitati “un grande inviato del Giornale Radio” ha scritto che il giornalista è uno che racconta. Sostiene Ruffini che la stessa cosa vale per la televisione quindi “la televisione è un racconto”. E l’autore attraverso i suoi programmi innovativi ha fatto parlare un’altra Italia, che esiste ma il più delle volte è nascosta, invisibile, messa da parte dalle urla e dalla volgarità. La generazione di Ruffini è stata quella che andava a letto alle 21,00 dopo aver visto Carosello, che è cresciuta con la Tv dei ragazzi, che ha imparato ad amare i grandi classici della letteratura mondiale vedendo sul primo canale della Rai le trasposizioni televisive girate da registi del calibro di Sandro Bolchi. Quando per farla breve la Rai – Radiotelevisione Italiana era grande e assolveva in pieno al suo ruolo di servizio pubblico. Nel saggio non poteva non mancare un accenno a quella trasmissione andata in onda qualche mese fa su Rai3, “un programma che per la sua semplicità è apparso rivoluzionario” dal titolo evocativo rubato a una celebre canzone di Paolo Conte che descrive la nostra attuale situazione “sospesi tra il partire o restare”, rassegnarci, indignarci oppure provare a cambiare, perché un’altra televisione è possibile. Ce l’hanno fatto capire uomini come Paolo Ruffini Hombre vertical, perché sotto la sua direzione sono nati i programmi più belli, più seguiti e di valore. Con Vieni via con me seguito da dieci milioni di persone ferme con la mano nel telecomando senza fare più zapping “abbiamo difeso la libertà di scegliere. La nostra e quella di chi ci guardava”. Un programma che “ha riempito un vuoto” che è stato elogiato e criticato, oggetto di infiniti dibattiti quasi più di una partita giocata dalla Nazionale Italiana giacché ha avuto lo stesso indice di ascolto. “All’inizio sembravamo pazzi” ricorda Ruffini invece poi Report ha iniziato “a fare ascolti da Rai 1”. La realtà ha finalmente sconfitto i reality come ha detto Carlo Freccero che di televisione se ne intende. Una Tv che non si parla addosso ma che racconta il mondo, la vita quotidiana. Illuminante è il capitolo intitolato Televisione e politica, nel quale Ruffini parla dell’occupazione della Tv da parte della politica “La ama di un amore malato. Ne è ossessionata, ci si specchia. Vi cerca una conferma della propria funzione. E se non la trova si ribella come la strega delle favole. Scambia l’essere con l’apparire. E così facendo danneggia sia se stessa sia la Tv”.
Un racconto breve carico di pensieri e riflessioni acute e ponderate ma anche memoir redatto da un civil servant che molte aziende televisive estere ci invidiano e che ci fa comprendere che Non è mai troppo tardi, prendendo in prestito il titolo dello storico programma degli anni Sessanta condotto dal maestro e pedagogo Alberto Manzi. Roberto Saviano recentemente ha scritto: “spesso un libro ti sceglie, non lo scegli tu. Te lo trovi lì dinanzi al naso, magari a buon prezzo, e lo compri. Ma quando lo apri senza aspettarti nulla, ti accade che dalle sue pagine ti venga incontro qualcosa che sembra scritto apposta per te”. È certamente ciò che accade dopo aver letto questo lungo articolo esortativo. “Abbiamo scelto la libertà di scegliere. La nostra e quella di chi ci guardava. Non avevamo la pretesa di essere gli unici depositari di un verbo. Avevamo però la pretesa di dover essere noi a scegliere cosa dire. E che dovesse essere il pubblico a decidere cosa guardare. Abbiamo difeso il nostro punto di vista. E la libertà di telecomando. Pensavamo che fosse un’ovvietà, evidentemente non lo è più”.
Paolo Ruffini è nato a Palermo il 4 ottobre 1956. Dopo la laurea in Giurisprudenza si avvicina al mondo del giornalismo prima al Mattino di Napoli, poi al Messaggero di cui diventa vice-direttore nel 1996. Dalla carta stampata arriva in Rai al Giornale Radio, poi come direttore di Radio uno. Dopo questa esperienza nel 2002 diventa direttore di Rai 3. Lasciato l’incarico in seguito alle aspre polemiche con il centrodestra che lo accusava di uso “criminoso della televisione pubblica” ha vinto la battaglia legale ed è tornato a dirigere Rai 3. Il 5 agosto 2011 Ruffini chiede ufficialmente la risoluzione del proprio contratto di lavoro lasciando così la direzione di Rai 3, informando i vertici aziendali dando preavviso contrattuale. Sergio Zavoli, Presidente della commissione di Vigilanza, in quell’occasione si è così espresso “il servizio pubblico si indebolisce nel suo complesso”. Ruffini passerà a La7 con l’incarico di direttore di Rete a partire dal 10 ottobre prossimo.
Autore: Paolo Ruffini
Titolo: Scegliete! Discorso sulla buona e la cattiva televisione
Editore: Add
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 5 euro
Pagine: 64
… rinnovo con piacere la mia stima al GIORNALISTA ed all’UOMO P. RUFFINI … grande direttore retto e fornito di ONESTA’ INTELLETTUALE … grazie …