Nel 1809 il giovane avvocato newyorkese Washington Irving, futuro autore de “La leggenda della valle addormentata” (meglio nota come Sleepy Hollow) e papà di Rip Van Winkle, era ancora un perfetto sconosciuto. Ma il gene del successo aspettava solo l’occasione giusta per manifestarsi, che si presentò quando il suo proprietario lesse tanti di quei saggi storici sulle origini di New York da sentirsene annoiato a morte.
Disgustato da tanta approssimazione, tese un tranello ai suoi concittadini: prima pubblicò sui giornali la notizia della scomparsa di un misterioso Dietrich Knickerbocker da una delle pensioni della città. Poi finse che l’albergatore avesse ritrovato e deciso di pubblicare un prezioso manoscritto del suo ospite per rifarsi del conto da lui lasciato scoperto. E fu così che venne dato alle stampe “C’era una volta New York“.
Trascinato dalla voce autocratica di un sedicente autore/narratore – il cui nome è ancora oggi negli Usa il titolo di una compagnia di trasporti, di lavanderie, di società sportive, di una celebre birra – il racconto delle origini olandesi della città oscilla tra storia e mito, tra fantasia e realtà. Nomi noti incontrano personaggi mai esistiti: c’è Peter Stuyvesant, governatore olandese della nuova Amsterdam, destinata a trasformarsi nella Grande mela; e c’è uno strano Cristovallo Colon, che vagamente potrebbe far pensare a Colombo, ma non c’è da giurarci (la ragione del soprannome appioppato al genovese rimane oscura allo storico). E c’è William il bizzoso, Walter il dubbioso, Peter Testadura, governatori di quella terra in riva all’Hudson dove indiani chiacchieroni incontrarono olandesi taciturni: logorrea contro ascolto – e fu subito faida.
I lettori arrancheranno dietro l’andamento digressivo del racconto del Professor Knickerbocker-Irving. Il quale, diciamocelo, col suo gusto per l’aneddoto e per il dettaglio inutile, con la saccenza e la prosopopea che lo eleva – lui dotto – svariati gradini sopra il comune lettore, immaginato più volte in difficoltà, potrebbe rendersi veramente insopportabile.
Potrebbe, se a salvarlo non intervenisse una buona dose di ironia.
È comico l'”effetto Quattrocchi” generato da certe formule iperboliche, da puntualizzazioni superflue, da ovvietà fatte passare per rivelazioni, come quando dice del suo bis bis bisnonno, partecipe alla spedizione di Henry Hudson “in facoltà di mozzo”: «…in verità io non lo udii mai, giacchè come ci si può immaginare morì prima che io nascessi». Diverte quando definisce il Libro I “erudito, sagace e null’affatto utile” («contiene diverse e profonde teorie che il lettore ozioso può tranquillamente trascurare»).
Anche perché “C’era una volta New York” non è che una sorta di “come eravamo a stelle e strisce”, dove dietro antenati che litigano e fumano pipe ingozzandosi di ciambelle fritte – antenate a loro volta delle ciambelle alla Omer Simpson – si intravedono i vizi dei newyorchesi contemporanei.
Il testo, certo, è straripante. Il lettore che si avvalesse, di tanto in tanto, del sacrosanto diritto di saltare le pagine (Pennac), assecondando, del resto, i suggerimenti dell’autore, si consideri assolto: l’influsso soporifero di certe diversioni è ineludibile.
Washington Irving nasce a New York nel 1783. Figlio di un ricco commerciante, intraprende gli studi giuridici, ma ben presto si dedica all’attività letteraria. Autore di racconti, saggista, poeta e giornalista, nel 1818 si trasferisce in Europa, dove resterà per diciassette anni, vivendo tra Dresda, Londra e Parigi. Amico di Wordsworth, intrattiene a lungo una relazione con Mary Shelley. Rientrato in America nel 1832, viene definitivamente riconosciuto come il primo scrittore americano di fama internazionale. Muore a New York nel 1859. Di Irving la Donzelli editore ha pubblicato Racconti fantastici (2003) e Il mistero del Cavaliere senza testa (2010, con le illustrazioni di Arthur Rackham).
Autore: Washington Irving
Titolo: C’era una volta New York
Editore: Donzelli
Anno di pubblicazione: 2011
Pagine: 316
Prezzo: 25 euro