Gengis Khan nasce nell’anno del maiale 1167. Va detto che mai come per personaggi di tale schiatta la cronaca si confonde con il mito, perciò non stupisce che ce lo raccontino “con occhi di fuoco e il viso acceso da una bagliore misterioso”.
Ne “Il Conquistatore del Mondo” (Adelphi, 2011) biografia costruita con passo di grande narratore di una delle figure monumentali della storia umana, pubblicata per la prima volta nel 1944, René Grousset (1885-1952), non può che ripercorrere i passi di questo racconto leggendario e farne uno più completo a sua volta; e a suo modo epico.
Ché epica è la storia del protagonista, per quanto il libro (un vero classico fra i classici) punti molto su aspetti per cosi dire psicologici e domestici, meno battuti dalla storiografia ortodossa. La narrazione di Grousset, debitrice della Storia Segreta dei Mongoli, opera che nasce oralmente presso gli stessi mongoli e verrà in seguito trascritta in cinese, ruba alla leggenda i tratti iconici del protagonista (“la notevole altezza, la corporatura robusta, la fonte spaziosa”) e lo inseriscono (secondo formula abusata ma in questo caso non usurpata) “come in un romanzo” tra le foreste e le steppe degli immensi spazi dell’Asia nord-orientale. Il giovane Temüjin (il nome era tataro e gli era stato dal padre in modo da introiettare le qualità del nemico) palesa presto un carattere acceso, non privo di facile disponibilità alla nequizie se è vero che fa fuori un fratellastro. Crescendo, si dimostrerà ugualmente capace di guadagnarsi il rispetto che le tribù aduse a farsi la guerra riconoscono a chi sa condurle verso un maggiore, assennato equilibrio, e di scatenare la sua furia verso chi crede di poter far a meno di obbedirgli. In occasione di un banchetto organizzato nella foresta dell’Onon, nel quale era presente una varia umanità proveniente da clan diversi, si scatenò una lite per motivi non gravissimi che però gli dette l’impressione che la sua autorità non venisse adeguatamente rispettata. La sua reazione fece capire agli astanti quanto serio e determinato invece sarebbe stato il suo dominio.
Gengis Khan è stato un autentico terremoto della storia, dallo sterminio dei Tatari, nemici acerrimi dei suoi antenati, che liquidò definitivamente nel 1202, all’annessione della Cina (con tanti saluti alla protezione della Grande Muraglia), alla guerra contro i musulmani dell’Asia centrale. Avvicinare un personaggio del genere in maniera così acuta, nelle sue caratteristiche psicologiche e nelle sue vicende “private”, procura ovviamente uno slittamento verso il romanzesco – della qual cosa l’orientalista francese, morto nel 1952, era ovviamente consapevole. Con il rischio che anche il lettore accetti di consegnare tratti quasi irreali, sentimentali alle carneficine che il condottiero mongolo firmava con insaziabile sete di sangue. Paradosso delle letture piacevoli – saccheggi, eccidi, massacri, decapitazioni smettono di essere tragedia della storia e diventano gustoso materiale narrativo. Specie quando l’artefice crede di essere una specie di dio. Se pensiamo che oggi è facile imbattersi con figurine piccole piccole che si credono delle divinità con molto meno, vale la pena dedicare del tempo a riflettere sulla storia di un uomo che determinò vere e proprie ecatombi, moltitudini impressionanti di morti, e poi creò un impero, fatto di popolazioni diversissime, di proporzioni gigantesche, che ebbe il suo peso anche nei futuri assetti europei, e nessuno si sogna più di liquidare, semplicemente, come barbaro.
Autore: René Grousset
Titolo: Il conquistatore del mondo
Editore: Adelphi
Anno di pubblicazione: 2011
Pagine: 340
Prezzo: 24,50 euro