Si può parlare delle “Lettere dal carcere” di Antonio Gramsci (Einaudi, 2011) tirando in ballo Italo Calvino e l’incontro tra Cosimo e Gian dei Brughi nel “Barone Rampante”? Forse. Ma si potrebbe collegare – e qui il parallelo è meno ardito – il fondatore del quotidiano “L’Unità” con il pensiero e le opere di uno dei più grandi intellettuali del Novecento italiano, cioè Pier Paolo Pasolini.
Partendo con Italo Calvino, dal capitolo bellissimo, forse uno dei migliori, del “Barone Rampante”, balzerà subito agli occhi del lettore la dicotomia tra lettura come formazione e lettura come intrattenimento. Le due categorie, come è naturale, possono intrecciarsi ma, talvolta, anche escludersi. Nel caso di Calvino e Gramsci, il testo riveste entrambe le funzioni ed è un vero miracolo letterario. Con Pasolini, Gramsci condivide la lotta politica, la passione per le tematiche civili e la volontà di azione.
Le lettere di Gramsci non sono scritte per essere pubblicate ma sono rivolte ai propri familiari e scritte in carcere in condizioni drammatiche. Come giustamente specifica Michela Murgia nella prefazione all’opera, il lettore deve sempre tenere in considerazione la situazione carceraria che viveva quotidianamente Gramsci, la vitalità e la curiosità che si evincono dalle sue lettere, in realtà sono il risultato di un lavoro interiore ben preciso che gli ha consentito di superare i momenti di maggiore difficoltà. Le lettere dal carcere di Gramsci sono una lettura importante per l’adolescente che si sta avvicinando alle tematiche sociali e politiche non solo per conoscere, nello specifico, la figura di un grande intellettuale ma soprattutto per capire il clima che si respirava nel ventennio fascista. Quindi una lettura formativa, indispensabile, un tassello da inserire ma, al tempo stesso, un piacevole viaggio.
Gramsci ha insegnato e insegnerà alle generazioni a venire cosa significa vivere e morire per le idee. Quel che salta agli occhi del lettore è, innanzitutto, la dignità di un uomo, che ha accettato di essere perseguitato pur di non cambiare mai posizione. Gramsci è l’esempio tangibile di quel che non sono gli odierni politici italiani, corrotti e dall’animo mutevole, ed è uno scrittore pe(n)sante sia dal punto di vista estetico che ideologico. La sua libertà di giudizio sui poeti deriva sempre dal suo status d’appartenenza ma, a differenza dei suoi colleghi, le letture che intraprende Gramsci sono trasversali, il che gli permette di comparare tra loro testi di estrazione diversa con scrupolosità e schiettezza.
Se si analizza, invece, il suo rapporto con i familiari, si noterà la premura del padre, consapevole di non poter mai essere accanto ai suoi figli nella loro fase di formazione e crescita, e un marito amorevole senza ricorrere a patetici sentimentalismi. La presenza/assenza di Gramsci, fil rouge di quasi tutte le sue lettere rivolte a Tatiana o a Giulia, col passare del tempo diviene essenza, una sorta di martire da rispettare e compatire, il che lo rende irascibile e insopportabile.
Come giustamente ha precisato Dacia Maraini, nelle “Lettere” c’è la vita di un uomo, i suoi umori, le sue sofferenze, il suo carattere. La scrittura, per Gramsci, è una forma di sopravvivenza, una strategia per non morire.
Antonio Gramsci , studioso e uomo politico, iscritto al PSI nel 1913, nel gennaio del 1921 è uno dei fondatori del Partito comunista e ne diventa segretario nel 1924. Eletto al Parlamento nell’aprile di quell’anno, è arrestato nel novembre 1926, in concomitanza con la messa fuori legge di tutti i partiti d’opposizione da parte del regime fascista. Condannato dal Tribunale speciale a venti anni di detenzione. La sua riflessione di quegli anni è raccolta nei Quaderni dal carcere. Muore ancora nella condizione di prigioniero dopo una lunga malattia testimoniata nella raccolta delle Lettere dal carcere.
Autore: Antonio Gramsci
Titolo: Lettere dal carcere
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 13 euro
Pagine: 293