Definire “Io non sono esterno” (Castelvecchi, 2011) un pugno allo stomaco potrebbe essere addirittura un eufemismo. Crudele, diretto, freddo, il romanzo di esordio di Giuseppe Merico non lascia certo indifferenti.
Il libro è ambientato in un Salento dove la desolazione del paesaggio si sposa con la quotidiana lotta per la sopravvivenza. Voce narrante: un ragazzino senza nome, da anni (“due anni, o sono tre, o cinque, o una vita?”) tenuto segregato in una cantina dal padre-padrone. Da quella profondità umida e buia comincia il suo racconto allucinato e lucido al tempo stesso. Una voce solitaria che nomina meticolosamente brutalità innominabili, che viviseziona i momenti più cruenti della sua esistenza, pronta a illustrare, con la freddezza dell’anatomista, le violenze fisiche e psicologiche che ha subito o a cui ha assistito.
Il ragazzino racconta la sua storia, racconta la storia del suo piccolo mondo, popolato da loschi figuri appartenenti alla Sacra corona unita, dalla donnina magra e triste della Romania, che non immaginava di finire col cervello spappolato su un televisore, dallo sfasciacarrozze che vive vicino casa, e sopra a tutti la madre, intrappolata in quella “terra di nessuno”, e Lui. L’innominabile. Il padre.
Ma racconta anche una storia d’amore, nella sua forma più inaspettata e disturbante. E, ancora, la sua volontà di esistere, nonostante tutto. “La nostra casa si trova nel posto dove non vorresti essere mai. I treni passano veloci, tanto qua fuori non c’è niente da vedere. Secondo me il posto dove viviamo non esiste neppure sulle cartine geografiche”.
Con le sue storie di ordinaria follia, il protagonista mette a nudo il “grumo nero” che suo padre ha al posto del cuore. Intanto aspetta che Lui scenda di sotto, per portargli del cibo e qualcosa solo vagamente assimilabile a calore umano. Ciò che conta davvero è che in quel buio rischia costantemente di perdere perfino la sua stessa identità, i cui labili confini si fanno più definiti solo sotto le carezze, odiate e desiderate insieme, del padre: “A volte, se c’è Lui, capita che so chi sono, ma se manca per qualche tempo, ecco che scompaio”.
Nella devastante solitudine cui è costretto, il ragazzino non ha nessun altro essere umano a cui aggrapparsi. Tutta la gamma di sentimenti possibili è rivolta solo a Lui, compreso l’amore: “Penso che si possa volere bene a chiunque, anche a Lui”.
Il giovane protagonista deve confrontarsi anche con la follia, sempre in agguato. Essa si materializza sotto forma di Magnolia, una bambina piccola e bianca, con un casco da aviatore della seconda guerra mondiale, amica/nemica immaginaria che lo tormenta con le sue storie insensate, i suoi urli agghiaccianti e le sue domande inquietanti: “a volte con un salto mi entra nelle orecchie. Da lì può parlare e spesso mi dice: «stai impazzendo»”.
Merico sceglie di esibirsi in tematiche di grande impatto, adottando uno stile asciutto e violento che sortisce fino a un certo punto l’effetto di sorprendere e catalizzare l’attenzione del lettore. Al di là di questo, però, resta la sensazione di trovarsi di fronte a personaggi un po’ sterili, il cui dolore così pesantemente esteriorizzato nelle scene cruente e drammatiche, non risulta del tutto convincente e sincero. Rimane comunque un libro interessante e potente, la cui unica pecca è di non permettere al lettore di entrare in empatia coi suoi protagonisti.
Giuseppe Merico: nato a San Pietro Vernotico, tra Brindisi e Lecce, nel 1974, vive a Bologna. Scrive per la rivista “Argo” e “Io non sono esterno” è il suo primo romanzo dopo la pubblicazione della raccolta di racconti “Dita amputate con fedi nuziali” (2007).
Autore: Giuseppe Merico
Titolo: Io non sono esterno
Editore: Castelvecchi
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 14 euro
Pagine: 160