Riappare dopo molti anni il saggio di Walter Pedullà, “L’estrema funzione“, del 1975, nella collana fuoriformato diretta da Andrea Cortellessa per la casa editrice fiorentina Le Lettere. Lo stesso Cortellessa aggiunge al volume una sua conversazione con l’autore del libro.
Molti degli elementi portanti sono abbastanza tipici di quegli anni – nulla della vulgata sui pessimi anni Settanta che piace a molti oggi spacciare per l’unica lettura possibile. Psicoanalisi intanto. Freud, Lacan, ma anche Deleuze. Poi il Bachtin studioso del serio-comico (già una traccia dell'”estrema finzione come estrema funzione”) prima che di Dostoevskij. Poi Lotman e la semiotica, e Roland Barthes (e il piacere del testo recuperato da più parti e con più convinzione negli anni successivi).
E naturalmente gli scrittori coevi, Calvino, Malerba, Nanni Balestrini, Volponi, Sanguineti. Decisiva, per nulla accidentale, l’apologia del riso, del comico, Parodia più che postmoderno però, comicità vitale, volta per volta buffa o irriverente, estrema funzione della finzione letteraria. Se questo è un oggetto della ricerca di Pedullà è anche, ce lo ricorda Franco Cordelli nella breve prefazione, il suo stesso stile: ciò che lo salva dalla contraddizione di una pretenziosità accademica giustapposta a quella stessa vitalità che salva la letteratura dalle inutili buone maniere della retorica bellettristica come dal cupio dissolvi dell’ideologia, dell'”epidemia di chiarezza” che metterebbe a morte la scrittura. E l’arte al servizio di un progetto inconsapevole dei suoi mezzi perché tutta e rovinosamente proiettata sui fini di qualcos’altro.
Il riso coagulava le espressioni più irridenti di quegli anni, le ultime neoavanguardie si spostavano verso il comico e tracciavano una linea diversa rispetto alla cupezza dell’ideologismo armato e totalmente indifferente alla letteratura. Il comico era la chiave attraverso cui l’illuminismo necessario non si anchilosava nel teleologico disvelamento delle strutture ma si riproduceva nell’unico modo vitale: l’espressione letteraria. E il critico, che interpreta questo percorso con le stesse modalità, sostiene Cortellessa, è il trickster, “lo sciamano che ride” (con qualche rischio di spettacolarizzazione, forse).
Oggi sembra scontato, in quegli anni per niente, se ricordiamo critici come Leone De Castris, e il blando ma ostinato zdanovismo di poetiche neorealiste con i loro precetti didascalici: compiacere il lettore operaio, bisognoso di essere educato o sollevato dalle fatiche quotidiane. Una “generazione che chiedeva commosse illustrazioni di una politica” – l’ingenuità oggi appare macroscopica. Anche il vuoto, però. Il nostro.
Walter Pedullà (Siderno, 10 ottobre 1930) Dopo aver insegnato per quasi cinquant’anni Letteratura moderna e contemporanea, è ora Professore emerito alla «Sapienza» di RomaHa pubblicato più di venti libri, fra i quali monografie su Savinio (1975), Gadda (1997), Debenedetti (2004) e Palazzeschi (2007); ha curato o introdotto opere di Ariosto, Svevo, D’Arrigo, Zavattini, Alvaro, Pizzuto, Malerba, Insana. Da dieci anni dirige due riviste che ha fondato nel 2000: «Il Caffè illustrato» e il quadrimestrale «L’Illuminista». Gli ultimi suoi libri sono Quadrare il cerchio (Donzelli 2005), E lasciatemi divertire! (Piero Manni 2006), Giro del mondo in ottanta pagine (Le impronte degli Uccelli 2008), Per esempio il Novecento (Rizzoli 2008) e Il vecchio che avanza (Ponte Sisto 2009).
Autore: Walter Pedullà,
Titolo: L’estrema funzione
Editore: Le Lettere
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 35 euro
Pagine: 356