Ne “La città di Adamo” di Giorgio Nisini (Fazi 2011) “un vecchio Brionvega portatile” scava l’ombra del dubbio nell’animo del protagonista del romanzo che la casa editrice romana candida alla 65esima edizione del Premio Strega.
Marcello ha ereditato dal padre Vittorio “uno tra gli imprenditori agricoli più importanti d’Italia” l’Azienda Ortofrutticola Vinciguerra, fondata nel 1965, che “funziona a pieno regime” ed è sposato con la bella Ludovica, proprietaria di un negozio di arredamento e design. Gli sposi vivono nell’immaginario paese di Castel Cimino, in una villa che testimonia il loro successo. La loro è una vita che scorre apparentemente tranquilla e serena tra i boschi secolari dei Monti Cimini, che fanno da perfetta location a una storia intensa e originale. Tutto cambia quando una sera Marcello sistemando il televisore d’annata sintonizzato su un programma di Rai2 “un noto talk show politico – giornalistico”, osserva quasi distratto un vecchio servizio in bianco e nero risalente agli anni Settanta nel quale si vede un “edificio a forma di cilindro” simile a una ciminiera. Ecco che la telecamera inquadra una piazza rettangolare e un altro edificio simile a quello visto in precedenza e poi “la sagoma squadrata di una città”. La mente di Marcello è attraversata da un lampo: l’uomo è sicuro di essere già stato in quel luogo da ragazzino. In quel materiale d’archivio “girato durante l’edificazione di una città”, tra quella folla, un uomo con un borsello a tracolla e un bambino “jeans tagliati sopra il ginocchio, maglia a maniche corte, scarpe da ginnastica” si tengono per mano. “Quell’uomo e quel bambino eravamo io e mio padre”. Che rapporto c’era tra Vittorio Vinciguerra e Adamo Pastorelli “il primo uomo” a capo di una potente famiglia camorristica casertana il quale negli anni Settanta aveva fondato il quartiere chiamato Eurano? Quel palazzo metafisico a forma di cilindro fa riaffiorare nella mente di Marcello molti ricordi e altrettanti dubbi. L’uomo arriva a mettere in discussione l’onestà e il rigore morale del padre.
Lo sguardo “deciso e malinconico” di Vittorio improvvisamente si vela di ombre. The perfect world di Marcello vacilla nel momento in cui dubita del padre e, come un castello di carte, crollano tutti i suoi punti di riferimento. Egli finora aveva avuto una visione manichea della vita, ma l’esistenza di ciascuno può essere percorsa da una zona d’ombra, grigia proprio come i labili confini tra affari e malavita. Mentre “i castagneti più grandi e pregiati” dei boschi di Fontedoro proteggono la tomba di Vittorio Vinciguerra, che riposa nello stesso luogo nel quale è stato concepito, dieci anni dopo la morte del proprio padre Marcello compie un necessario viaggio di autocoscienza indispensabile per capire se stesso e i propri limiti.
“Chi ha la vittoria nel nome e nel cognome ha la vittoria anche nel cuore. Sempre. Ma chi ha la vittoria solo nel cognome, mi chiesi? Chi non ha mai dovuto fare grandi battaglie per conquistarla?”.
Giorgio, desidera spiegarci il significato della frase di Anselmo d’Aosta contenuta nel Proslogion che ha posto all’inizio del romanzo? (1)
“La frase citata fa parte del ragionamento di Anselmo dedicato alla dimostrazione dell’esistenza di Dio. Subito dopo, sempre in epigrafe al romanzo, compare una frase di Paul Auster. «La verità è molto meno semplice di quanto vorrei». Si tratta di due frasi che esprimono due visioni del mondo completamente opposte: da un lato la fede incondizionata nella ragione, capace addirittura di provare l’assoluto, la verità, appunto; dall’altro invece uno scetticismo conoscitivo che approda a una verità complicata e confusa, che sfugge al controllo dell’uomo. Si tratta di un conflitto tra visioni del mondo che investe Marcello, il protagonista della storia: lui è un uomo pragmatico (è un imprenditore), logico, figlio di una cultura razionalista che crede in un universo comprensibile e trasparente; un giorno però i dubbi sul padre lo pongono di fronte a una realtà tutt’altro che comprensibile, bensì confusa, sgranata, opaca.”
Le vicende del libro sono ambientate nell’Alto Lazio, nella Tuscia, “nel cuore esatto d’Italia”. È un omaggio ai luoghi dove è nato?
“Più che un omaggio si tratta di un’ambientazione necessaria. Sono luoghi che conosco bene, in cui sono cresciuto, che mi piace raccontare perché pochi scrittori lo hanno fatto. È un territorio narrativamente quasi vergine. Anche il mio primo romanzo, La demolizione del Mammut, era ambientato nella stessa zona.”
Si può giudicare e condannare un uomo che non può più difendersi, perché è morto da molti anni e che tra l’altro è il proprio padre?
“Questa è la domanda che mi sono posto e che si pone Marcello. È una domanda che riguarda in termini più generali la giustizia e la sua infallibilità. Il punto è che a volte non si può o non si riesce a condannare neanche chi ha la facoltà di difendersi, non si riesce cioè ad arrivare tramite la logica processuale – fatta di indizi, di prove, di rilievi scientifici molto sofisticati – a mettere a fuoco una verità definitiva. Basti pensare ai tanti casi di cronaca criminale che ci sono in Italia. La verità è molto meno semplice del previsto, come appunto dice Auster.”
Il romanzo è pervaso dal senso di spaesamento e di inadeguatezza di Marcello che la visione della città di Adamo porta alla luce. È quella paura di non essere all’altezza, quella stessa fragilità umana che ritroviamo protagonista in Habemus Papam di Nanni Moretti?
“Sono due storie molto diverse, Marcello prende le redini dell’azienda e la manda avanti con un certo successo. Semmai ha un problema irrisolto col padre, è ancora un adolescente, non ha mai messo in discussione l’immagine statuaria e idealizzata di Vittorio. L’esperienza che vive nel romanzo sarà per lui una modalità di emancipazione.”
Lo scorso giugno ha ricevuto in Campidoglio il Premio Corrado Alvaro Opera Prima. C’è un nesso particolare che la lega allo scrittore calabrese?
“Corrado Alvaro è sepolto nel cimitero di Vallerano, nei monti Cimini, che è il paese di origine dei miei genitori e il luogo a cui è ispirato Castel Cimino. A Vallerano trascorse gli ultimi anni di vita e il cimitero è lo stesso in cui riposano anche mio padre e mia madre. Da piccolo mio padre mi parlava di lui e mi portava a vedere la sua tomba. Quando il 9 giugno dello scorso anno, lo stesso giorno in cui mio padre avrebbe compiuto gli anni, mi è stata ufficializzata la vittoria del premio Alvaro (la cerimonia ufficiale si è poi tenuta a San Luca), ho provato qualcosa che non so spiegare.”
Da cinque anni si dedica all’insegnamento come professore a contratto. Quali sono i maggiori problemi che incontra svolgendo la sua professione?
“Non mi piace lamentarmi dei problemi, preferisco vedere cosa si può fare a partire da quei problemi, che per l’università, si sa, sono soprattutto economici. In ogni caso l’insegnamento universitario è solo una delle tante attività che svolgo. Mi piace il lavoro dinamico, ho anche una piccola azienda agricola e dirigo una collana per una casa editrice.”
(1) “E davvero noi crediamo che tu sia qualcosa di cui non si possa pensare nulla di più grande”.
Giorgio Nisini è nato a Viterbo nel 1974. Studioso e saggista, insegna Sociologia della letteratura all’Università La Sapienza di Roma. Il suo primo romanzo La demolizione del Mammut (Perrone 2008) ha vinto il Premio Corrado Alvaro Opera Prima ed è arrivato fra i cinque finalisti del Premio Tondelli.
Autore: Giorgio Nisini
Titolo: La città di Adamo
Editore: Fazi
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 18 euro
Pagine: 300
1 thought on “La città di Adamo per Fazi. Intervista a Giorgio Nisini”
Comments are closed.