Assomiglia a un’inchiesta giornalistica “Come doveva finire” (Garzanti 2011) del giornalista Alberto Gentili. “Il peluche si chiamava Luca Mancini, trentun anni. Professione buttafuori della discoteca Peter Pan, Soprannome: Chat”.
Il sole invernale alle 10 del mattino del 27 dicembre 2010 non è in grado di scaldare il commissario Tommaso Cappa e il suo vice Berti accorsi sul luogo del delitto “uno sciatto seminterrato ai margini del quartiere Trieste” di Roma. Il commissario dopo aver osservato il cadavere reso grottesco da una “pancia enorme che sfida la forza di gravità” si guarda attorno perché “adora l’inizio delle indagini, lo entusiasma il pathos della caccia”. Che cosa nascondono il computer portatile, l’impianto hi-fi professionale e il lettore CD-DVD? L’indagine prende il via dalla discoteca Peter Pan regno del divertimento pomeridiano giovanile, Luna Park che nasconde una galleria degli orrori che cattura gli adolescenti derubandoli della loro innocenza. Giovanissimi come la tredicenne Anna “dal fascino innato” o Nero che si considera un “mega – iper – sfigato” abbandonato alla sua solitudine esistenziale dai propri genitori.
Il lettore viene condotto dall’autore nel lento precipitare in un buco nero da parte dei ragazzi coinvolti, in un inferno dantesco dal quale è difficile uscire. C’è da chiedersi quanti genitori dopo aver letto questo libro, guarderanno con occhi diversi i loro figli cercando di capire dai loro atteggiamenti cosa sia cambiato in loro, se ci sia qualche segnale d’allarme. È l’istinto del cronista di razza che esce dalle pagine di questo romanzo poliziesco nel quale spicca la figura dolente e simpatica del commissario Cappa mentre una madre in pena, Alessia, s’improvvisa detective per penetrare nella vita parallela della figlia Anna. “E più leggevo più perdevo l’orientamento, più mi smarrivo nella second life di Anna. Distante milioni di milioni di chilometri dai riti e dai ritmi della nostra vita quotidiana”.
Alberto ci puoi chiarire come mai hai posto all’inizio del romanzo la frase di William Shakespeare “È davvero un buon padre quello che conosce suo figlio” e hai dedicato il volume ai tuoi figli “impegnati nell’affascinante sfida di diventare grandi…”?
“Perché in fondo è il tema del romanzo. Il libro è un poliziesco che si dipana nelle stanze segrete di una generazione web collegata alla rete, collegata a un mondo spesso sconosciuto ai genitori. Nel momento in cui un genitore consente ai propri figli di passare ore e ore davanti a un computer, e questo accade anche a me, questo genitore rischia di perdere il collegamento con il proprio figlio. Il mondo che si trova sul web è talmente straniante che può trasformare i nostri figli in sconosciuti. Quindi è buon genitore colui il quale riesce a conoscere e a mantenere una ferma conoscenza del proprio figlio. Non come censore o come autorità ma come scambio di valori, di emotività, di positività e come esempio. I miei figli mi hanno dato una mano a scoprire quello che è il mondo che li circonda, loro per fortuna sono molto distanti dai fatti di cronaca che ho raccontato. Il mondo degli adolescenti è bellissimo ma anche insidioso. I miei figli mi hanno anche dato una mano sia sullo slang usato tra i giovanissimi sia su quello usato nelle chat fatto di abbreviazioni incomprensibili.”
Per scrivere la trama del romanzo ti sei ispirato a recenti fatti di cronaca?
“Assolutamente sì. Sono fatti realmente accaduti che raccontano di un disagio di un certo tipo di adolescenti. C’è una forte parte di fiction, non è un racconto di cronaca ma un poliziesco quindi ho imbastito questi fatti di cronaca con il plot della narrazione.”
Chi è il commissario Cappa?
“È un fascinoso quarantenne freschissimo di separazione… La storia ha inizio con lui che esce di casa, nello stesso giorno s’imbatte in questa nuova indagine sulla morte di Luca Mancini detto chat, buttafuori in una discoteca frequentata da adolescenti. Da lì inizia il suo percorso. Cappa è un commissario anomalo, curioso, progressista, comprensivo. La sua nuova casa è nel quartiere Prenestino che si trova proprio sopra il fascio dei binari dei treni che portano alla stazione Termini. Io la definisco la casa dei treni, Cappa non mette più la sveglia perché si sveglia appena sente il primo treno che passa… È un commissario che si fa persino gli spinelli, è un personaggio controverso.”
Ci tratteggi il personaggio di Alessia?
“Alessia è una giovane mamma quarantenne separata. Ha un unico grande amore sua figlia Anna. A lei si è dedicata fin da quando questa bambina è nata. Alessia è una libera professionista, un architetto che ristruttura abitazioni e arredi, ha scelto questa professione per stare vicino alla figlia. Una mattina di aprile Alessia va a svegliare la bambina e scopre del sangue nel letto. La bambina con le parole che le rotolano fuori dall’apparecchio dei denti dice “aspettavo un bambino mamma e ieri ho abortito”. Queste sono le uniche parole che Anna pronuncia su questo argomento, poi si trincera dietro un muro di silenzio invalicabile contro il quale Alessia va a sbattere. La madre decide di aggirare questo muro cercando di scoprire la second life di Anna. Lo fa in maniera diversa, cambiando completamente approccio nei confronti della bambina. Fino a quel momento Alessia aveva coltivato il sogno della mamma amica sogno che può portare l’educatore a deragliare. Ora Alessia decide di capire realmente chi sia sua figlia. Lo fa senza scrupoli andando a vedere nel suo diario, nel suo PC, sequestrandogli il cellulare, ne fa una battaglia disperata per riuscire a strappare sua figlia dal mondo nel quale era caduta.”
Hai seguito i grandi eventi di cronaca internazionale come l’attacco al World Trade Center di New York l’11 settembre 2001. In merito all’uccisione di Osama Bin Laden sei d’accordo con la frase dello scrittore americano Jonathan Safran Foer? (1)
“Il 12 settembre ero a New York quindi ho avvertito quello che gli americani vivevano, erano morte tremila persone è normale che ci sia voglia di giustizia e di vendetta. Io credo che Foer abbia ragione ci sono tanti modi di fare giustizia e forse si poteva fare in maniera diversa. Aggiungo che considerato il fanatismo dei seguaci di Al Qaeda tenere in prigione un personaggio come Osama Bin Laden non era un’operazione facile come non era un’operazione facile seppellire il corpo in qualunque luogo della terra, perché si sarebbe trasformato in luogo di pellegrinaggio. Nessun paese voleva ospitare questa tumulazione. Non ho per nulla apprezzato l’esultanza degli americani con bandiere, clacson, caroselli di auto per le strade. Queste cose si fanno per un evento sportivo, per qualcosa che rappresenta veramente una vittoria. Esultare per la morte di un uomo anche se si chiamava Bin Laden mi ha fatto una brutta impressione, come mi faceva una brutta impressione vedere gli integralisti islamici o la popolazione dello Yemen o dell’Egitto o della Palestina esultare quando veniva ucciso un soldato americano. Vedere la gente esultare per la morte di un nemico non mi piace. Questa esultanza genera odio.”
Sei giornalista politico parlamentare del quotidiano Il Messaggero. Mai come ora l’intera classe politica italiana sembra essersi infilata in un tunnel rissoso che sembra senza ritorno e provoca disamore tra i cittadini. Si ricava la netta sensazione che la politica nel suo complesso sia distante dal Paese reale e dai veri bisogni. Ci lasci la tua opinione al riguardo?
“Io credo che non sia distante ma lontanissima… Il Palazzo mai come adesso non riesce a mettere a fuoco i veri problemi delle persone. Si continua a litigare, naturalmente c’è un primo attore in questa passione per il litigio ma ci sono gli altri che in qualche modo gli corrono appresso, esiste una corresponsabilità. Finché continuerà questo clima di scontro permanente, il Paese resterà fermo, tanto è vero che il nostro è un Paese che ha una crescita economica tra le più basse d’Europa. I cittadini ne pagano il prezzo giorno dopo giorno anche nel momento di fare la spesa di questa incapacità della politica italiana di pensare ai problemi reali del Paese.”
(1) “Si può fare giustizia in molti modi diversi. E non tutti sono ugualmente buoni. In questo caso forse si poteva fare meglio. Ma non vuol dire che giustizia non sia stata fatta”.
Alberto Gentili è nato a Roma nel 1961. Giornalista del Messaggero, ha collaborato in passato con la RAI e L’Espresso seguendo i grandi fatti di cronaca nazionale e internazionale degli ultimi anni. In questo periodo è responsabile del servizio politico parlamentare per il suo giornale. Con Garzanti ha già pubblicato Liberami amore (2008).
Autore: Alberto Gentili
Titolo: Come doveva finire
Editore: Garzanti
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 18,60 euro
Pagine: 392