Il gruppo certo più importante degli ultimi 15 anni. Ad avviso personalissimo di chi scrive, uno dei tre o quattro decisivi della storia rock (qualsiasi cosa esso significhi), almeno di quella più concettuale, artistica (assieme ai Can, ai Cluster, ai Pink Floyd fino a Meddle). Stiamo parlando di “Exit Music – La storia dei Radiohead” (Arcana 2011), un libro documentatissimo su una band di fuoriusciti potenziali, e invece, per fortuna, musicisti geniali.
“La musica dei Radiohead – scrive l’autore, il giornalista americano Mac Randall – fa appello all’outsider e al disadattato che è in ciascuno di noi, a quella parte di noi che è costantemente in balìa, insicura e che si interroga sul senso dell’esistenza”. La qualità dell’”appello” è ciò che conta, direi. Al libro non manca davvero nulla: analisi tecniche su ritmiche, melodie e testi, interviste dirette dell’autore alla band, narrazione dettagliata delle prove e delle registrazioni (laddove una virgola può cambiare la storia di un brano), vicende legate ai concerti, entusiasmi e momenti di depressione, scazzi e strepitose invenzioni, domande anche severe sulla probità di certe scelte musicali o sul senso di alcuni versi, specie in opere come quelle che ad avviso di chi scrive sono invece i capi d’opera del gruppo rock: KID A e AMNESIAC.
La cosa interessante insomma in questo saggio è che Mac Randall non manca di esprimere le sue perplessità quando è il caso – laddove spesso le biografie nel mondo della musica rock si risolvono in vere e proprie agiografie e esaltazioni acritiche. Non manca di sottolineare, per esempio, e fin troppo spesso, la mancanza di direzione di certi lavori. Dei due dischi citati, afferma – non lo hanno mai negato gli stessi Radiohead – che si tratta in fondo di un unico concept, un solo album che – è la sua tesi – bene hanno fatto a tenere distinti, per l’eccessiva complessità anticommerciale che ne avrebbe evidenziato maggiormente i punti deboli.
Chi scrive invece dei Radiohead ama soprattutto l’oltrepassamento vertiginoso dei confini rock, ovverosia proprio l’abbandono progressivo da OK COMPUTER a KID A e AMNESIAC delle influenze mainstream (Smiths o U2 o altri) e l’avvicinarsi, in direzione però di una nuova allucinata e ipnotica riscrittura, a esperienze liminari meravigliose: krautrock o kosmiche musik, Boards of Canada, ambient, drum’n’bass, Mingus, Olivier Messiaen…
Lo strumento che rappresenta la chiave di volta di quel momento è l’onde martenot, “tastiera elettronica primitiva” il cui timbro singolare contrassegna esattamente la cifra ambigua del vertice artistico Radiohead: un mondo umano che non lo sembra più e che però è tenuto tutto dentro alla talentuosa vocazione del gruppo: la ricerca di una voce (in senso letterale e non) che sia la più profonda e vera possibile nel raccontare sogni, allucinazioni, malesseri e corto circuiti emotivi e sinaptici remoti si avvale proprio di una macchina.
Il paradosso, in una musica in cui l’utilizzo dei campionatori non è certo secondario, è costante – OK COMPUTER sembra luddista, non nasconde il timore che l’uso delle macchine stravolga la vita dell’uomo, ma i Radiohead cercano di prendere da esse quello che può darci di buono, intanto nella musica. Prima di arrivare a quei capolavori però c’è una storia – e anche dopo, com’è noto. Ed è quella che racconta questo libro.
Autore: Mac Randall
Titolo: Exit Music – La storia dei Radiohead
Editore: Arcana
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 19,50 euro
Pagine: 372