“La fine è il mio inizio” di Tiziano Terzani, a cura del figlio Folco si apre così: “… e se io e te ci sedessimo ogni giorno per un’ora e tu mi chiedessi le cose che hai sempre voluto chiedermi e io parlassi a ruota libera di tutto quello che mi sta a cuore…”.
Il volume raccoglie le riflessioni e i pensieri di uno dei più grandi giornalisti del XX Secolo, il quale attende con serenità l’inevitabile nel suo rifugio in Val d’Orsigna in provincia di Pistoia “piccola, austera Himalaya”, circondato dagli affetti più cari, la moglie Angela e i figli Folco “… ma intanto tu sei venuto a tenermi per mano… ” e Saskia.
“Sono terribilmente affaticato ma serenissimo. Adoro essere in questa casa e conto di non muovermi più”, così scrive Terzani al figlio esortandolo a tornare nella casa sulla montagna per realizzare un dialogo tra padre e figlio. “Così diversi e così eguali”, un libro che sarà il testamento spirituale del babbo e che toccherà al figlio metterlo insieme. Pubblicato per la prima volta nel marzo del 2006, il libro è arrivato alla decima edizione con oltre 600mila copie vendute, “bellissimo progetto” che ha catturato l’attenzione di milioni di lettori sedotti dalle parole semplici e veritiere contenute nel saggio. Tre mesi carichi di ricordi, racconti di viaggi avventurosi di un cronista infaticabile, unico testimone un registratore.
Ora una mostra fotografica Tiziano Terzani Clic! 30 anni d’Asia e un film tratto da La fine è il mio inizio, con la pubblicazione di un libro delle sue fotografie Tiziano Terzani Un mondo che non esiste più Longanesi 2010, pongono in primo piano la figura del cronista di guerra diventato inviato di pace, scomparso nel 2004.
Il saggio è la storia di un ragazzino “nato in un letto in via Pisana, un quartiere popolare di Firenze” che ha compiuto gli studi universitari presso il Collegio Medico – Giuridico di Pisa, l’attuale Scuola Superiore Sant’Anna. Un uomo dotato di una vivace intelligenza e di una forte curiosità che ha documentato taccuino in mano e macchina fotografica a tracolla circa quarant’anni di Storia. Gli occhi di Tiziano hanno visto la cacciata degli americani dal Vietnam, l’ingresso dei Vietcong a Saigon. Inoltre lo stimato cronista ha rischiato la morte in Cambogia e nel 1984 è stato espulso dalla Cina per attività controrivoluzionarie. Nell’autunno del 1989 è corso nell’ex URSS a scoprire che “ora che la cortina di ferro si alza, si scopre che il solo grande segreto è la miseria e lo squallore”. Un testimone mai schierato, a volte scomodo, il cui motto era “andare avanti, guardare”, sempre spinto da una perenne curiosità del nuovo, del diverso. Un racconto – intervista, un messaggio di rara spiritualità ambientato in un luogo che il giornalista definiva “la mia seconda patria”. Un intenso dialogo tra padre e figlio che rivive nel film omonimo diretto da Jo Baier e interpretato da Bruno Ganz e Elio Germano.
“Allora questa è la fine, ma è anche l’inizio di una storia che è la mia vita e di cui mi piacerebbe ancora parlare con te per vedere insieme se, tutto sommato, c’è un senso”.
Folco, “lasciare il corpo” per tuo padre rappresentava un’ultima scommessa, attesa con interesse, perché non ancora conosciuta e della quale non sapeva nulla?
“Sì, era come l’ultimo viaggio su questa terra. Mio padre era abituato a fare tanti viaggi e questo era l’unico viaggio che non aveva ancora intrapreso. In un certo senso si era saziato dei viaggi precedenti, aveva visto le cose che voleva vedere per cui non c’era più un altro viaggio geografico che lo potesse interessare tanto. Aveva pensato un po’ agli USA, ad andare a esplorare il mondo islamico, però in fondo era troppo tardi quello lo lasciava ai giovani. Lui aveva imparato il cinese e ai giovani ora consigliava di imparare l’arabo. Quindi sì, l’ultimo grande viaggio era quello.”
“Il vero giornalismo” per lui voleva dire controllare i dettagli, verificare le date, perché “un errore toglie credibilità a 300 pagine”. Un’illuminante lezione per un mestiere oggi spesso affrontato superficialmente e che invece dovrebbe assomigliare a una vera e propria disciplina quotidiana?
“Era il suo particolare punto di vista. Anche quando alla fine si era messo a parlare di cose spirituali, fuori dagli stretti accadimenti quotidiani e della politica, ha comunque continuato a usare gli strumenti del suo mestiere di giornalista. Si è espresso quindi in maniera chiara e precisa evitando qualsiasi cosa per esempio attinente alla new age e rimanendo ai fatti e a quello che è percepibile ai sensi. Una presentazione laica della spiritualità.”
Hai collaborato attivamente al film La fine è il mio inizio girato a Orsigna. Bruno Ganz che interpreta tuo padre riferendosi a lui ha detto: “Nella figura di Terzani ho letto tante cose, le origini fiorentine, la figura di Dante Alighieri… soprattutto la curiosità e il rispetto verso le culture degli altri”. Nell’interpretazione di Ganz hai ritrovato lo spirito di tuo padre?
“È una mistura tra Ganz e mio padre, non è mio padre. È come un ibrido, perché Ganz è pur sempre Ganz, deve attraversare lui. Forse è una versione più intellettuale di mio padre, perché come diceva di se stesso era un uomo di pancia, fisico. Sapeva e leggeva tante cose però in fondo non era un intellettuale. Ganz è stato molto bravo e molto attento a non fare una cosa new age, ma del resto non si correva il rischio, bastava seguire quello che diceva mio padre… L’interpretazione di Ganz coglie alcuni aspetti di mio padre, del resto non c’era il tentativo di essere identici. Nella sceneggiatura e nel film non viene fuori il senso dell’umorismo tipicamente fiorentino di mio padre. Lui era più allegro, più divertente, faceva ridere, mentre era serio era anche scherzoso… del resto se uno vuole vedere mio padre lo può vedere nel documentario Anam il senzanome, la sua ultima intervista, girato in quel periodo e dove lui racconta le sue storie. Il documentario viene mostrato a Palazzo Incontro alla fine del percorso espositivo fotografico.”
Il racconto – intervista è anche la storia del rapporto padre – figlio. “Sai, alla guerra c’è sempre uno che è davanti a te, c’è una prima linea… una prima trincea… E quando io morirò ti sentirai tu in prima trincea”. Si acquista un nuovo senso di responsabilità, si matura quando scompare il proprio padre?
“Non sono ancora in primissima linea, ho ancora mia madre… certamente dopo la scomparsa del proprio padre si cresce improvvisamente e velocemente. Si crea un vuoto da riempire, ma non un vuoto solo perché ti manca il padre, ma perché vi erano alcuni ruoli che la figura paterna svolgeva, anche se uno non se ne rendeva conto prima… quando non c’è più ti toccano.”
Orsigna sull’Appennino tosco – emiliano “posto magico” come l’ha definito Elio Germano. Nel film emergono le inevitabili incomprensioni generazionali e la contrapposizione tra due modi diversi di vedere la vita e di affrontarla. Nella tua veste di co-sceneggiatore è stata una scelta precisa porre in evidenza anche questo importante aspetto?
“Sì, è stata la prima cosa alla quale abbiamo pensato. La primissima cosa, quando hanno avuto l’idea del film e abbiamo cominciato a discutere della sceneggiatura, era di inserire quel conflitto tra padre e figlio. Perché il film in genere ha bisogno di molto più conflitto di quanto un libro, no? Noi abbiamo fatto il film con il minimo di conflitto, meno di così non è possibile in un film! Però un pochino ci voleva e questa scena, realmente accaduta, era importante aggiungerla. Il bello del film semmai è che ci sono varie scene che non sono nel libro ma che sono realmente accadute e che danno la possibilità di avere un altro punto di vista. Il libro è più centrato sui racconti dell’Asia, il film è più incentrato sul rapporto padre – figlio, sulle relazioni familiari.”
A Palazzo Incontro, la mostra fotografica che documenta 30 anni di viaggi in Asia di Terzani che hai curato, propone alcuni scatti sul Mustang “una valle lontana dietro le pareti ghiacciate dell’Himalaya”. Che cosa rappresentò per lui questo luogo nel quale la civiltà non era ancora arrivata?
“Questo per lui era uno dei posti più belli che avesse mai visto! Conservava ancora intatto un antico mondo, quel mondo che lui si era visto sgretolare davanti agli occhi nei suoi trent’anni d’Asia con l’arrivo del capitalismo, del consumismo e della modernità. Quel mondo un po’ misterioso e un po’ magico si era rapidamente sgretolato, ma era anche quell’Asia romantica che lui era andato a cercare. Il Mustang era rimasto miracolosamente intatto fino a quando c’era arrivato lui. Va dato merito a questo re “d’altri tempi” il cui “castello è di pietra e di fango” e “i suoi tesori sono pecore e cavalli”, che aveva mantenuto originale il suo piccolo regno. Adesso ci sono stati cambiamenti anche lì, non c’è più il re, per cui anche il Mustang fa parte del mondo che non esiste più…”
Pensando all’uomo Terzani, al suo lavoro vissuto con rigore e sensibilità torna in mente la frase “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” (1) di Kant, cioè quell’armonia tra mente e natura tipica di una visione universale dell’esistenza. Qual è la tua opinione al riguardo?
“Questo è vero per quanto riguarda l’ultima fase della sua vita, prima non avrebbe pensato così, perché prima era più giornalista e si occupava della politica. Alla fine quando, come diceva lui, ha avuto la grande occasione della malattia e ha saputo che gli restavano pochi anni da vivere, allora si è allargata moltissimo la sua visione delle cose. Inevitabilmente tutto ciò ha portato mio padre a capire che è la natura l’unica cosa veramente grande rispetto alle piccole cose dell’uomo. Quindi in quegli ultimi anni ha iniziato a vedere con uno sguardo nuovo le stelle sopra di sé e l’erba del prato. Prima mio padre diceva di se stesso che era come un uomo a cavallo che va troppo veloce e non vede più i fiori.”
Tiziano Terzani nacque il 14 settembre 1938 a Firenze nel quartiere di Monticelli. Si laureò brillantemente in Giurisprudenza nel 1961 presso il Collegio Medico-Giuridico di Pisa, l’attuale Scuola Superiore Sant’Anna. Nello stesso anno sposò Angela Staude. Per trent’anni visse con la moglie e i due figli Folco e Saskia in Asia. Come corrispondente del settimanale tedesco Der Spiegel risiedé a Singapore, Hong Kong, Pechino, Tokyo, Bangkok e Nuova Delhi da dove collaborò anche a Repubblica, L’Espresso e Il Corriere della Sera. Nel corso della sua vita asiatica pubblicò molti libri, tutti editi da Longanesi e tradotti in altre lingue, sulle grandi storie di cui si trovò a essere testimone: Pelle di leopardo e Giai Phong! La liberazione di Saigon, sulla guerra in Vietnam, La porta proibita sulla Cina del dopo Mao, Buonanotte Signor Lenin sul crollo dell’Unione Sovietica. Il volume In Asia raccoglie le sue migliori corrispondenze dai paesi d’Oriente. Pubblicò in seguito Un indovino mi disse (1995) cronaca di un viaggio di un anno attraverso numerosi paesi dell’Asia, compiuto senza mai prendere un aereo per seguire l’avvertimento datogli da un indovino, Lettere contro la guerra (2002) dedicate al nipote Novalis, Un altro giro di giostra (2004) nel quale descrive il suo modo di reagire alla malattia che lo colpì, Fantasmi (2008) pubblicato postumo. Il giornalista e scrittore morì a Orsigna in provincia di Pistoia il 28 luglio 2004.
Folco Terzani è nato a New York nel 1969. Scrittore e documentarista è cresciuto fra Singapore, Hong Kong, Pechino, Tokio, Bangkok e Nuova Delhi seguendo gli spostamenti del padre. Ha frequentato le scuole pubbliche a Pechino, si è laureato in Lettere Moderne a Cambridge e in Cinema a New York. Ha vissuto un anno nella casa dei morenti di Madre Teresa di Calcutta, esperienza dalla quale ha tratto per la televisione della Svizzera italiana il documentario Il Primo Amore di Madre Teresa. Nel 2006 ha curato La Fine è il Mio Inizio. Un Padre Racconta al Figlio il Grande Viaggio della vita, il libro postumo di Tiziano Terzani. Ha curato l’edizione di Un Mondo che non esiste più, raccolta delle immagini scattate da Tiziano Terzani nel corso dei suoi viaggi (Longanesi) e la mostra Tiziano Terzani. Clic! 30 anni d’Asia aperta fino al 29 maggio 2011 a Roma a Palazzo Incontro in via dei Prefetti 22.
(1) “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza” Critica della ragion pratica Immanuel Kant