“La valigia di mio padre” di Orhan Pamuk uscito per Einaudi nel 2007 trae spunto dal discorso che lo scrittore turco tenne il 7 dicembre 2006 a Stoccolma in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura.
Un discorso che tocca il cuore: un rapporto di stima e fiducia con il padre, quella timida invidia repressa, il timore di aprire quella valigetta che gli aveva lasciato “perché non volevo sapere o scoprire (..) che mio padre fosse un bravo scrittore“. E ancora: “una prospettiva terribile. Perché anche alla mia non più tenera età avrei voluto che lui fosse soltanto mio padre, non uno scrittore“. Da questo episodio nasce il monologo di Pamuk sul mestiere dello scrittore, colui capace di creare nuovi mondi, fondere realtà e immaginazione, di parlare di cose che tutti sanno senza esserne consapevoli.
Lo scrittore. Secondo Pamuk è colui in grado, usando un modo di dire turco, “scavare un pozzo con un ago“. Un lavoro, quello del romanziere soprattutto, dedito alla scrittura e alla solitudine, a quella necessità quasi maniacale, a quel “desiderio di chiuderci in una stanza, in una stanza piena di libri, che ci spinge all’azione“. Un ricorso all’estraneità dagli altri mitigata dalla compagnia dei libri, della cultura, della “tradizione letteraria“.
I perché della scrittura. Durante il discorso di Stoccolma, Pamuk si lascia andare a considerazioni intime che riescono a penetrare le coscienze di tutti coloro che leggono questo suo volumetto, rispondendo ad una domanda che prima o poi viene posta agli scrittori. “Io scrivo perché sento il bisogno innato di scrivere! Scrivo perché non posso fare un lavoro normale, come gli altri. Scrivo perché voglio leggere libri come quelli che scrivo. Scrivo perché ce l’ho con voi, con tutti (…) Forse scrivo perché spero di capire il motivo per cui ce l’ho così con voi, con tutti (…) Scrivo per sfuggire alla sensazione di essere diretto in un luogo che, come in un sogno, non riesco a raggiungere“. Ma soprattutto: “Scrivo perché non sono mai riuscito a essere felice. Scrivo per essere felice“.
Autore implicito. In questo piccolo volume si può leggere anche il discorso che lo scrittore di Instanbul ha tenuto alla University of Oklahoma il 21 aprile 2006 in occasione della Puterbaugh Conference, insiste sul ruolo dello scrittore, concentrandosi su quello di romanziere, su quella dipendenza che l’ha trasformato in un “mezzo morto“. In alcuni passaggi Pamuk chiarisce il suo rapporto tra felicità/infelicità e scrittura: “La vita è difficile perché non scrivi. Perché non riesci a scrivere. Ed è difficile anche quando scrivi perché scrivere è molto difficile”. Quello che si auspica è di “riuscire a scrivere romanzi per altri trent’anni ancora e, con questa scusa, vivere assumendo altre identità“.
Politica, Europa e Turchia. “La valigia di mio padre”, riporta anche un discorso, pressoché politico, che Pamuk ha tenuto il 23 ottobre 2005 a Francoforte per il conferimento del Friedenspreis. Lo scrittore turco, partendo dal rapporto Oriente/Occidente, conclude poi che Europa e Turchia (“argomento molto delicato e difficile per un turco” come afferma lui stesso) debbano andare sulla stessa lunghezza d’onda e rispettarsi politicamente, culturalmente a vicenda. “Quel che la Turchia e il popolo turco hanno da offrire all’Europa è, senza alcun dubbio, la pace. (…) Se l’anima dell’Europa è l’Illuminismo, eguaglianza e democrazia, allora la Turchia deve avere un posto in questa Europa pacifista (…) Come non riesco a immaginare una Turchia priva di una prospettiva europea, così non posso credere in un’Europa priva di una prospettiva turca“.
Orhan Pamuk è nato nel 1952 a Istanbul. Nel 2006 ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura. Einaudi ha in corso di stampa tutte le sue opere e ha finora pubblicato Il castello bianco, La nuova vita, Il mio nome è rosso, Neve, La casa del silenzio, Istanbul, Il libro nero, La valigia di mio padre, Il Museo dell’innocenza e Altri colori.
Autore: Orhan Pamuk
Titolo: La valigia di mio padre
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2007
Prezzo: 8 euro
Pagine: 72