Non è facile trovare in giro romanzi come questo. Uno di quei libri che chiedono al lettore di lasciare tutto da parte per entrare nel loro mondo – perché è davvero un mondo intero quello che racconta Uwe Tellkamp ne “La torre” (Bompiani, 2010).
Storie che fanno parte della Storia e la penetrano come mai riuscirebbe a un libro di specialisti giacché – è noto – gli scrittori quelli bravi non fanno sociologia ma dicono ben più di chi non può inventare se non un taglio, una prospettiva, un metodo (laddove gli storici improvvisati – chissà perché fieramente revisionisti – non fanno né storia, né psicologia, né antropologia, non hanno un metodo, non sanno cosa siano i protocolli procedurali, e trattano le fonti con sovrana allegria).
Tellkamp è un romanziere, un ottimo scrittore. Così restituisce il clima dunque il senso degli anni precedenti il crollo del Muro di Berlino, l’agonia della DDR, vista nel microcosmo della città di Dresda nel corso degli anni ’80, e ancora più in quello della Torre, un quartiere residenziale nelle cui ville vivono famiglie che alla cupezza della dittatura socialista sostituiscono un’esistenza fatta di arte, musica, letteratura. Borghesia intellettuale, insomma. Essa partecipa di un tempo rallentato, dai tratti a momenti quasi onirici, irreali – ha ricordato l’autore in un’intervista recente che questo tempo lento ha avuto un risvolto positivo: ancora oggi i lettori dell’ex Germania Est leggono piano, riempiono mesi della loro vita con un libro (e anche La torre richiederebbe questo.
Il libro mostra come l’hortus conclusus non potesse funzionare perché non era possibile sfuggire al panopticon totalitario. Bastava avere una relazione extraconiugale per essere ricattabili dalla Stasi – non si sarebbe parlato di totalitarismo altrimenti. Il sistema spionistico era capillare, implacabile, e son cose che già sappiamo.
Il romanzo si costruisce intorno alle vicende della famiglia Hoffmann, una delle più in vista della Torre. C’è Christian, il figlio di Richard, chirurgo e amante dell’arte (l’uomo ricattato di cui sopra), che per diventare medico deve prima prestare servizio “nell’Esercito Nazionale Popolare – “volontario” lo definiscono -, non avendone nessuna voglia. Ma la figura chiave risulta essere quella dello zio Meno Rohde, redattore presso un’importante casa editrice, il quale ha accesso al quartiere di “Bisanzio”, un po’ il centro della nomenclatura, e ha così la possibilità di tenere in collegamento continuo e certo problematico i due mondi, nonché di raccontarceli nel suo diario. I personaggi della Torre, spesso sedotti dalla scrittura, sembrano aspettare che tutto finisca, sebbene per molti aspetti la loro vita abbia degli elementi di comodità non disprezzabili.
Bildungsroman corale che si avvale di una lingua che in traduzione (a cura di Francesca Gabelli) appare fluida, ricchissima, a tratti lussuosa senza per questo essere ridondante – valga la descrizione dell’ascesa in funicolare sulla città nel primo capitolo: davvero straordinaria. Della vividezza di sensi che chiediamo a un romanzo non manca nulla, il sapore aggiungendo il quid irripetibile della letteratura al racconto degli storici. Un gran libro.
Uwe Tellkamp è nato a Dresda nel 1968. Dopo gli studi di medicina a Lipsia, New York e Dresda ha lavorato al pronto soccorso di una clinica di Monaco. Nel 2004 ha lasciato la medicina per dedicarsi completamente alla letteratura e alla scrittura. Attualmente vive a Friburgo. Il suo primo romanzo, Der Hecht, di Träume und die Portugiesische Café, è del 2000. Nel 2005 ha ricevuto il Premio Ingeborg-Bachmann per il romanzo Der Eisvogel. Con La torre ha ottenuto il Premio Uwe-Johnson 2008 e il Deutscher Buch Preis 2008.
Autore: Uwe Tellkamp
Titolo: La torre
Editore: Bompiani
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 25 euro
Pag. 1.328
*Diritti dell’articolo di Michele Lupo