Nel 1976 lo scrittore francese Julien Gracq, all’età di 66 anni, visita per la prima volta Roma. Dai suoi appunti di viaggio nasce “Intorno ai sette colli” (Mattioli 1885), spietato e irriverente ritratto della Città eterna, dei suoi abitanti e dei suoi dintorni. “Non sono mai stato pienamente conquistato da Roma. In compenso – ed è questo che conta – non mi ci sono mai annoiato”.
Pubblicato per la prima volta in Italia a pochi anni dalla scomparsa dell’autore, il libro presenta la visione unica e personalissima di Gracq, nella quale ogni luogo sembra dotato di una propria personalità.
Le radici storiche di ogni città vengono filtrate nell’immaginario dello scrittore, creando dei quadri vividi: Venezia è una macchina che cancella il tempo, dove i secoli sembrano “risucchiati sotto la linea piatta della laguna”, Firenze è “una bellezza nata dal letame”, dalla sporcizia della manifattura tessile, mentre non lo convince la “bellezza da cartolina” di Sorrento, ai suoi occhi priva di sorprese.
Il percorso dell’autore ha come fulcro Roma, dove “tutto è alluvione e tutto è allusione”: da un lato i “depositi materiali” accatastati da secoli, che si incrociano e compenetrano, dall’altro “l’alluvione di parole”, le infinite dissertazioni su questa città e sulla sua storia, il retroterra culturale che porta con sé (Gracq parla di “terreno culturale che ricopre la città”): “il Foro, il Campidoglio e tutto il resto sono seppelliti sotto le parole più ancora che sotto i rispettivi terreni”.
In questo museo a cielo a aperto, Gracq si sente soffocare (sebbene “soffocare in mezzo alle meraviglie”), avverte un senso di confinamento per la mancanza di spazi aperti e di “lontananze”. Come se secoli di arte e storia avessero prodotto un caotico accatastamento di opere e rovine, la cui vista non riesce a comunicare “la felicità di respirare”. Ma lamenta anche la mancanza di misteri (eccezion fatta per il Vaticano): Roma, “in virtù di tutte quelle sue nobili viscere messe all’aria, è la sola città al mondo che assomigli a un’autopsia”.
Anche nei confronti degli italiani, egli esprime le proprie riserve. Pur essendo affabili e cordiali, con la loro teatrale gestualità sembrano comparse che, in uno “spettacolo vivace e superficiale”, recitano la vita piuttosto che viverla.
A riconciliare Gracq con questi luoghi tanto pesanti e ingombri di storia, ci pensa la leggerezza dell’atmosfera che vi trova. Mentre si aspettava di visitare “una città sdegnosa e fredda, che tenesse a distanza il visitatore”, resta sorpreso dal senso di familiarità che “mi ha deliziato pressoché ovunque e mi ha fatto sentire a mio agio. Laddove la città si concede qua e là un tocco d’importanza, pare lei stessa incline a scherzarci sopra: mi piaceva leggere di tanto in tanto lungo i marciapiedi l’S.P.Q.R caricaturale che marchia i tombini”.
Gracq stabilisce con le città un rapporto che non è quello meramente visivo dell’osservare, ma è più profondo e intuitivo. Uno sguardo schietto, affatto clemente o accomodante, ma che per questo regala al lettore un senso di autenticità, un ritratto inedito di luoghi ormai fin troppo “comuni”.
Il ricordo di Roma assume per Gracq una dimensione onirica, surrealista: “svincolato dalla pianta della città”, l’autore si ritrova nel labirinto della propria memoria e della propria immaginazione, a far rivivere il suo viaggio in Italia tramite il fascino di una prosa elegante e misurata.
Julien Gracq (1910-2007) è lo pseudonimo usato da Louis Poirier. Dopo i romanzi “Au château d’Argol” (1938) e “Un beau ténébreux” (1945), nel 1951 Gracq rifiuta il Prix Goncourt per “Le rivage des Syrtes”, rimanendo coerente alla propria critica contro la cultura letteraria contemporanea. La sua opera completa è stata pubblicata da Gallimard nella prestigiosa “Bibliothèque de la Pléiade”.
Autore: Julien Gracq
Titolo: Intorno ai sette colli
Editore: Mattioli 1885
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 16 euro
Pagine: 137