“Dostoevskij e la tradizione” (Stilo editrice, 2011) a cura di Marco Caratozzolo: una raccolta di saggi dedicati a uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi tenuti insieme non da pretestuose necessità editoriali, ma dal tema ricorrente della tradizione alla luce di alcune variazioni prospettiche in essa provocate dallo sguardo di Dostoevskij: questo il senso del libro in esame.
Non un banale regesto, un effimero studio per eruditi dunque; piuttosto, un percorso attraverso la filogenesi di alcuni motivi letterari, storici e simbolici interni alla tradizione occidentale che evidenzi quali siano poi stati gli esiti di una loro rilettura-riscrittura nell’universo letterario di Dostoevskij. Infatti, è indubbio che miti – a partire dai poemi omerici passando per testi di varia provenienza, non ultima quella biblica – e archetipi e segni dell’immaginario storico hanno lasciato tracce importanti nell’opera del magnifico moscovita, ma adeguatamente filtrate e ricreate.
Sulla scia di studi e/o suggestioni avviate ormai un secolo fa dai vari Tynjanov, Nazirov, Bachtin (una delle figure più straordinarie della critica novecentesca, di cui vale la pena ricordare le ricerche sulla satira menippea, il dialogo socratico, il carnevalesco e la loro presenza nelle strutture polifoniche dostoevskiane), ma anche dal poeta Ivanov, centrale nel volume è l’idea che “il mito, quindi, dotato inizialmente di un potenziale esclusivamente simbolico e contemplativo (come lo era il rituale arcaico prima di essere esperito), si trasformi, nell’idea artistica del romanziere, in un’entità “attiva nella vita reale”.
Preme conoscere quale sia stata l’attualizzazione di quei modelli. Le Sacre Scritture e i poemi omerici offrono stimoli continui allo scrittore, il quale dimostra di conoscere bene la tradizione, non come studioso (lettore non sistematico, Dostoevskij, questo lo aggiunge lo scrivente, sempre travagliato in vita da problemi economici, politici e di salute: D. leggeva soprattutto in funzione dei suoi scritti futuri), ma di sicuro da artista provveduto e consapevole che non solo i miti vanno ri-visti ma che l’arte medesima, anche la sua, così vicina all’esperienza profonda della vita, non può prescindere dalle forme e dai modelli precedenti. Nello specifico risulta interessante il riuso da parte di Dostoevskij di metafore ornitologiche diffuse nella Bibbia e non solo, concernenti per esempio il motivo della casa-nido, interno al romanzo L’adolescente, e ivi traslate soprattutto in uno schema percettivo, uno sguardo a volo d’uccello secondo il giudizio di Kauchtschischwili – prospettiva che consente una lettura anamorfica delle cose: deformante, grottesca, aberrante.
Altri studi riguardano il motivo delle stampe popolari, la citazione dell’Apocalisse, il personaggio biblico di Giuseppe (molto importante nella tradizione russa), la lettura delle opere dostoevskiane negli sceneggiati italiani e soprattutto la figura splendida del trickster, il briccone divino.
Mito apparso per la prima volta parrebbe fra gli indiani dell’America del Nord, riferisce di un’entità che “non conosce valori sociali o morali”, essenzialmente duplice, “al tempo stesso creatore e distruttore, truffatore sempre truffato”. Dentro una prospettiva psicoanalitica lo si potrebbe dire una sorta di schizoide, creativo però, vitalissimo, da Jung letto come uno “psicologema”, un complemento, un’ombra dell’io che fa e disfa, che vuole e disvuole, una figura che travasa dall’inconscio pulsioni allotre alla disciplina del sé.
Questo buffone che oltrepassa i limiti con cui gli umani regolano il loro consesso, carico di una hybris pazzesca, figura esemplare del mundus inversus carnevalesco, è pure destinato – lo evidenzia il saggio di Marco Caratozzolo, che è anche il curatore del volume – all’autoumiliazione, all’abiezione, al sottosuolo. Gli estremi poi sappiamo, nell’autore dei Demoni deflagrano come in nessun’altro scrittore moderno: tutto ciò che riprende, riusa, rilegge lo fa tirando commedia e tragedia ai suoi punti estremi, lacerandoli e consegnandoci il testimone di un’esperienza dilaniata. Lo prenderà il ‘900 e non sarà una vicenda tanto più allegra.
Marco Caratozzolo, ricercatore, insegna Lingua e letteratura russa presso la Facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ ed è autore di vari saggi sulla letteratura della tarda avanguardia e dell’emigrazione russe. Da anni collabora, nell’ambito di ricerche sull’Ottocento e il Novecento russo, con i proff. Rosanna Casari, Ugo Persi e Maria Chiara Pesenti, che insegnano Lingua e letteratura russa alla Facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università degli Studi di Bergamo, presso la Cattedra di Slavistica istituita nel 1968 da Nina Kauchtschischwili.
Autore: Marco Caratozzolo (a cura di)
Saggi di N. Kauchtschischwili, R. Casari, M. Caratozzolo, M.C. Pesenti, U. Persi
Titolo: Dostoevskij e la tradizione
Editore: Stilo
Anno di pubblicazione: 2011
Prezzo: 15 euro
Pagine: 160