Le vicende narrate in “Signora Ava” di Francesco Jovine (Donzelli 2010) sono ambientate negli ultimi anni del regime borbonico a Guardialfiera in Molise paese natale dello scrittore “Alla memoria di mio padre ingenuo rapsodo di questo mondo defunto” è la dedica che Jovine pose all’inizio del volume, la quale spiega il significato del titolo del libro. Un antico canto popolare del Mezzogiorno, infatti, recita “O tiempo da Gnora Ava nu viecchio imperatore a morte condannava chi faceva a’mmore”.
I racconti del padre Angelo, agrimensore tornato dall’Argentina da dove era emigrato, ascoltati dal piccolo Francesco sarebbero stati il seme dal quale germogliò l’intera produzione letteraria di Jovine, nella quale era documentata con stile verista e realista la comunità molisana e meridionale. Il maestro Jovine, futuro direttore didattico e marito della pedagogista Dina Bertoni, rappresentò la sua gente “dal di dentro, oltre ogni falsità, generalizzazione e retorica… tutto ciò al fine di educare, di formare nuove classi dirigenti, capaci davvero di concepire il sangue e il sudore dei poveri, dei cosiddetti cafoni meridionali, come seme proficuo e prolifico di civiltà e progresso”. Con queste efficaci parole nella postfazione Educazione e religione Francesco D’Episcopo sintetizza l’opera dell’autore. Tra il 1859 e il 1861 a Guardialfiera il passaggio dal dominio borbonico a quello sabaudo non verrà a incidere nella vita dei contadini del paese, prigionieri del latifondo e quindi condannati a una vita di miseria e stenti quotidiani. Jovine fa suo il concetto gattopardesco del “tutto deve cambiare affinché nulla cambi”, perché la classe dirigente resta la stessa ma sotto una bandiera diversa.
Francesco Jovine iniziò a scrivere Signora Ava nel 1935 ma a causa della lunga gestazione “derivante dalle alterne vicende biografiche dello scrittore” e dalla complessità strutturale del romanzo storico fu pubblicato nel 1942. Il libro è diviso in due parti: nella prima è descritta la vita della piccola comunità con i suoi personaggi principali. Tra questi don Matteo Tridone perno del romanzo che rimanda alla figura manzoniana di don Abbondio, il cafone Pietro Veleno “sottile ed alto; di membra delicate ed esatte” futuro brigante suo malgrado, la famiglia de Risio con don Giovannino de Risio detto il Colonnello direttore e insegnante di una scuola privata e donna Antonietta de Risio che si innamora ricambiata di Pietro. Nella seconda parte la Storia arriva nel borgo attraverso le imprese garibaldine, la guerra di Vittorio Emanuele II nei confronti del Borbone Francesco I e l’ambiguo fenomeno sociale del brigantaggio.
Un libro ingiustamente dimenticato pubblicato prima da Einaudi nella collana di letteratura per la scuola media e ora rieditato dalla Casa Editrice romana Donzelli con il dipinto Guardiana dei campi che fa la calza, del macchiaiolo Silvestro Lega, in copertina che anticipa i temi del romanzo. “Questa nuova edizione che interrompe lunghi decenni di trascuratezza e di oblio, cade alla vigilia di un anno particolare, quello in cui si celebrano i 150 anni dell’Unità d’Italia” scrive Goffredo Fofi nella prefazione Il Gattopardo dei poveri. L’autore dimostra di aver imparato la lezione manzoniana della “storia mista all’invenzione” e l’insegnamento verista del Verga. Jovine però supera l’ideologia pessimista dei vinti di Verga indicando nella lotta contro la secolare servitù, un possibile futuro di riscatto, tema del successivo romanzo Le terre del Sacramento.
Possiamo considerare Francesco Jovine come l’aedo testimone, romanziere e critico di quel contado del Molise che l’aveva visto nascere e del quale ricostruì, con ironia e senza retorica, tutti i suoi membri. Non manca nessuna tipologia sociale dalla sottomessa classe contadina, alla borghesia agraria atavicamente parassitaria e la borghesia liberale sensibile alle idee innovatrici di Garibaldi, per finire al clero di cui si fa magnifico interprete don Matteo “prete povero meridionale” apparentemente conformista e rassegnato. “Don Matteo era seduto su una panca all’ombra di un olmo carico di bacche e di foglie. Davanti aveva una breve porca di terra disseminata di piante gialle di pomodori che avevano ancora alcuni frutti troppo maturi alla base e verdi alle punte”.
Francesco Jovine nacque a Guardialfiera in provincia di Campobasso il 9 ottobre 1902 da una famiglia contadina e morì a Roma il 30 aprile 1950. Dopo aver conseguito il diploma di maestro elementare, insegnò per qualche anno nel suo paese; nel ’25 si trasferì a Roma dove si laureò nella Facoltà di Magistero e divenne assistente di Giuseppe Lombardo Radice, avvicinandosi agli studi sul Mezzogiorno. Nel ’41 tornò in Molise come inviato speciale del Giornale d’Italia e l’anno dopo venne pubblicato Signora Ava. Nel 1943 aderì alla Resistenza affiancando i militanti del Partito d’Azione e del Partito Comunista. Tra il ’45 e il ’48 pubblicò varie opere teatrali e narrative. Due mesi dopo la sua morte uscì postumo il romanzo Le terre del Sacramento, vincitore in quello stesso anno del Premio Viareggio.
Autore: Francesco Jovine
Titolo: Signora Ava
Editore: Donzelli
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 23 euro
Pagine: 223