Nella storia delle grandi esplorazioni geografiche nessun altro luogo ha saputo affascinare e ossessionare come i Poli. Le sfide di Roald Amundsen, Robert Peary, Robert Scott e tanti altri pionieri dei ghiacci, raccolte insieme in un’antologia curata da Jon E.Lewis, dal titolo “Alla fine del mondo. Le grandi avventure polari” (Newton Compton, 2010). “Finalmente il Polo!!! La meta di tre secoli, mio sogno e ambizione per ventitre anni. Finalmente mio. Non riesco a rendermene conto. Sembra tutto così semplice“.
Così scriveva nel suo diario, datato 6 Aprile 1909, Robert E Peary. Insieme a Matthew Hanson e agli eschimesi Ootah, Eginghwah, Seegloo e Ooquedh furono i primi uomini a spingersi fin dove nessun essere umano si era spinto prima: il Polo Nord. Un’impresa al limite della sopravvivenza umana, accolta dall’allora presidente degli Stati Uniti Tafl in maniera a dir poco fredda: ” La ringrazio per la generosa offerta. Non so bene cosa potrei farmene…”. Mentre infatti Peary era intento nella sua impresa, un altro esploratore statunitense, Frederick Cook, comunicava al mondo la sua conquista. La querelle sul primato, che accenderà numerose polemiche e controversie, si risolverà soltanto molti anni dopo a favore di Peary. Fortuna che il tempo è galantuomo e tutto sistema. Altrimenti sarebbe da chiedersi perché tanta fatica per un punto geografico sopra una lastra di ghiaccio.
Una domanda che deve essersi posto un altro americano, Robert F. Scott, quando alla vista di alcune bandiere in prossimità della meta, capì che la corsa al Polo Sud era stata persa. Qualche settimana prima, esattamente il 14 Dicembre del 1911 il norvegese Roald Amundsen aveva raggiunto l’ambìto traguardo.
“E’ un posto tremendo. E’ spaventoso pensare che abbiamo faticato tanto per arrivarci senza la ricompensa di essere i primi“, annotava Scott nel suo diario. Ma la gloria che aveva cercato in vita, la ebbe da morto, dopo la pubblicazione dei suoi diari.
Le sue parole furono significative quanto le sue azioni, alimentando il mito dell’esploratore romantico e del sacrificio fine a sé: morirà insieme ai membri della spedizione durante la marcia di rientro. Magra consolazione si potrebbe pensare, per chi in condizioni climatiche impossibili, tra patimenti e sofferenze, ha come unico obiettivo la conquista.
Eppure, come disse lo stesso Peary :” Il vero esploratore non lavora per la speranza di ricompense e onori, ma perché quanto si dispone a compiere, è parte stessa del suo stesso essere e va conseguito per amore del risultato”.
Nel corso degli anni le grandi esplorazioni polari perderanno la loro aura romantica, fatta di traversate con cani e slitte, a favore della radio e degli aeroplani. Nel 1926 Roald Amundsen e Umberto Nobile, a bordo del dirigibile Norge, dopo un volo di 5300 Km trasvoleranno per la prima volta sopra il Polo Nord. Un’impresa che lo stesso Nobile tentò di ripetere un paio d’anni più tardi, ma che non ebbe la stessa sorte. Schiantatosi tra i ghiacci dell’Artico durante il viaggio di ritorno, il recupero dell’equipaggio del dirigibile Italia divenne una gara di solidarietà internazionale, alla quale, tuttavia, non partecipò nessuna squadra id’aiuto del regime fascista. Da questa tragedia, che costò la vita ad Amundsen -offertosi di andare in salvo degli italiani – scaturì la prima spedizione di soccorso polare, conclusasi con il salvataggio di Nobile e dei suoi uomini.
“Alla fine del mondo. Le grandi avventure polari” è un libro che raccoglie le cronache, gli aneddoti e le testimonianze delle più grandi avventure nelle terre polari. Un mondo che non esiste più, rivissuto in tutti i suoi aspetti drammatici ed esaltanti, grazie al racconto dei loro protagonisti.
Jon E.Lewis scrittore e storico, ha curato molte antologie di avventure e racconti di viaggi, tra le quali “Sul tetto del mondo” (Newton Compton, 2010)
Autore: Jon E.Lewis
Titolo: “Alla fine del mondo. Le grandi avventure polari”
Editore: Newton Compton
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 18,90 euro
Pagine: 528