In “Vita in anagramma“ (Gaffi editore, 2010) di Sabine Gruber, un gruppo di storni “che sembravano l’ovale di un oggetto volante” accompagna il viaggio in automobile di Mira verso il luogo di lavoro.
Mira, una protagonista del romanzo della scrittrice altoatesina, è infermiera presso una clinica per anziani a Roma. Durante i lunghi turni di notte Mira intuisce che suo marito Vittorio l’ha tradita o sta per farlo, perché “non si sa mai con precisione quando finisce un amore… però ci si accorge quando uno comincia a lasciare che la fine si avvicini”.
Irma Svetly, l’altra protagonista, vive a Vienna è giornalista e ha la passione per i mestieri in via di estinzione, ha un figlio Florian di tre anni avuto da una relazione occasionale. La vita di Irma è a una svolta: dopo anni di dialisi finalmente un rene nuovo è disponibile per il trapianto. Dopo l’operazione che le ha ridato la possibilità di vivere una seconda vita, la donna si sente diversa e si domanda ossessivamente chi sia stata la persona donatrice “noi deruberemmo i moribondi della vita”. Perché quest’opportunità è capitata a lei e non a qualcun altro? Perché alla giornalista appare così “difficile adattare la sua vecchia vita alla nuova?”. È il caso o il destino che regola la vita di ciascuno di noi?
Irma e Mira due donne di oggi, coraggiose e determinate che non hanno in comune solo l’anagramma del loro nome e un uomo con il quale entrambe hanno avuto un breve ma fatale incontro.
Uber Nacht è la storia parallela di due donne che non si conoscono, scritta con uno stile intenso e poetico. L’autrice affronta il tema del trapianto e del prolungamento della vita, argomenti che scuotono l’opinione pubblica e scatenano infinite polemiche. Sabine Gruber racconta tutto questo con estrema delicatezza e con molta lucidità, requisito essenziale quando si parla di temi così dolorosi. Due magnifiche città ricche di storia come Roma e Vienna fanno da affascinante scenario al volume. Villa Borghese e il Prater, il polmone verde della città austriaca, come in un ideale abbraccio. “... anche Irma si sentiva fuoriuscita dalla linearità, come un patchwork del destino”.
Signora Gruber, per quale motivo ha scelto i versi del poeta russo Josip Brodskij che appaiono all’inizio del romanzo? (1)
“…eppure anche tu sei alla mercé della Parca: allegramente la guardi mentre tesse”. Joseph Brodskij parla delle tre dee del destino che tessono, misurano e tagliano il filo della vita. Grazie alla medicina moderna, il filo tagliato, o ferito, di Irma può essere riparato ancora una volta, questo è anche una correzione del destino. Allo stesso tempo Irma immagina la vita della sua donatrice. Tesse mentalmente un filo di vita, racconta a se stessa la storia della morta che permette a lei stessa di continuare a vivere.
“Per vecchia abitudine cercavo, camminando, di scorgere i nugoli degli storni… “. Gli storni sembrano accompagnare la vita di Mira, che cosa rappresentano per la donna?
Gli uccelli sono da un lato una metafora per la libertà, per il desiderio dell’uomo o per le due donne del romanzo, di liberarsi dalla gravità della terra. Nel romanzo precedente, ha avuto un ruolo importante un quadro di Brueghel, Icaro che cade dal cielo e affonda nel mare. Con l’aiuto delle ali l’uomo può avvicinarsi al cielo, ma c’è sempre il pericolo della caduta, della fine della leggerezza. D’altra parte i romani, gli auguri, hanno predetto il futuro guardando il volo degli uccelli, loro hanno tentato di mettere ordine nella vita caotica. Forse anche Mira tenta di decifrare la scritta del cielo.
Per Irma “l’organo trapiantato d’una vita estranea non si adattava alla cornice reale della sua esistenza, ne aveva infranto la cronologia”. Prima di scrivere il romanzo ha ascoltato qualche testimonianza di persone che hanno vissuto quest’esperienza?
Io vivo con il rene di mia madre. Conosco bene la materia, ma non ho scritto un romanzo autobiografico, mi sono concentrata sul trapianto di un organo donato da un morto. Mi sono documentata e ho parlato con medici e pazienti, con persone che vivono con l’organo di un morto. I medici non possono dire niente sulla provenienza dell’organo, ne viene fuori un soggetto letterario scottante. Chi è il donatore ? La letteratura si inventa delle vite. Scrivendo devi inglobare l’estraneo, affinché diventi qualcosa di tuo. Anche scrivere è una forma di trapianto.
In Italia i casi Walby ed Englaro hanno suscitato molte polemiche. In Austria l’eutanasia attiva è proibita, ma è stato introdotto il testamento biologico. Possiamo chiederle un parere riguardo a questo tema?
Io sono contraria a qualsiasi forma di eutanasia legale, noi sappiamo che cosa è successo durante il periodo nazionalsocialista. La vita deve essere protetta. Penso che il testamento biologico sia problematico perché non puoi sapere quando stai bene fino a che punto la tua vita meriti di essere vissuta. Invece la protezione dei morti è assurda. Una persona cerebralmente morta è praticamente decapitata, non tornerà mai più in vita. Dopo la morte non puoi fare più danni a nessuno. Dal punto di vista etico invece non si può permettere di far morire dei pazienti che avrebbero potuto continuare a vivere con un organo donato, solo perché non c’è un’adeguata legge sui trapianti.
Con Renate Mumelter amministra e lavora sull’eredità letteraria di Anita Pichler. Desidera ricordare ai nostri lettori la vita e l’opera di questa scrittrice scomparsa prematuramente? Anita Pichler fu la prima scrittrice sudtirolese a varcare i confini regionali nel periodo del dopoguerra. Ed era la prima autrice sudtirolese a non scrivere nello stile tradizionale, ha usato la mitologia come pellicola per rappresentare il presente. Ha scritto due racconti, Haga Zussa e Come i mesi l’anno (Marsilio), seguiti da Die Frauen aus Fanis (1992) e Beider Augen Blick. Neun Variationen über das Sehen del 1995 presso l’editrice Haymon Verlag di Innsbruck. Il mio libro preferito è l’ultimo. Sono grandiosi pezzi di prosa lirica, che si riferiscono a opere d’arte.
(1) “La vita – merce d’accatto: pene e fronte e tronco. E destino significa: s’accoppiano lo spazio e il tempo. La ragione si piega a tal potere solo se costretta; eppure anche tu sei alla mercé della Parca: allegramente la guardi mentre tesse”.
Sabine Gruber è nata a Merano. Ha studiato letteratura tedesca, storia e politica presso le università di Innsbruck e Vienna, dove vive. È scrittrice di romanzi, racconti, opere teatrali, saggi e drammi radiofonici. Dal 1988 al 1992 è stata lettrice presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Numerosi i premi e i riconoscimenti ricevuti: 1996 Premio la letteratura città di Vienna, 1996 Premio Reinhard Priessnitz, Premio Anton Wildgans e 2008 Buch Preis Linz. Ha pubblicato i romanzi Aushäusige (1996) e Die Zumutung (2003) e la raccolta di poesie Fang oder Schweigen (2002).
Uber Nacht è il primo volume di Sabine Gruber tradotto in italiano da Umberto Gandini pubblicato nella collana Godot della casa editrice romana Gaffi. La traduzione di Vita in anagramma si è avvalsa del sostegno del Ministero Federale Austriaco di Istruzione, Arte e Cultura e della Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige, Dipartimento della cultura tedesca.
Autore: Sabine Gruber
Titolo: Vita in anagramma
Editore: Gaffi
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 16 euro
Pagine: 270