Centocinquanta anni fa Terenzio Grossi è stato autore di oltre 20 azioni criminose: aggressioni, rapine, omicidi, estorsioni e stupri. E’ stato il leader di una banda di briganti che ha seminato panico e speranza lungo le province del neonato Regno di Italia, coprendo bene o male una porzione di territorio delimitata da Pesaro e Fano sul versante adriatico, da Urbino e dalla Gola del Furlo su quello appenninico.
Oggi Michele Petrucci ci presenta una cronaca disegnata (accurata ed onesta il più possibile) sulla sua vita: “Il brigante Grossi e la sua miserabile banda” (Tunué, 2010) è un tuffo nella realtà pre e post-unitaria in grado di presentarci materiale storico più che noto sotto prospettive semi-inedite.
Il fumetto è una sapiente miscela di pulp e giornalismo di inchiesta; la banda del Grossi è composta da elementi della peggior risma/estrazione, eppure emana una strana aura di magnificenza: Sante Frontini detto “Mengon”, Luigi Trebbi detto “Cacabasso” (per via della sua bassa statura), Biagio Olmeda e tutti gli altri membri si esprimono quasi unicamente prevaricando il prossimo, eppure la loro sfida al potere precostituito è caratterizzata da innegabili componenti di eroismo puro.
La contro-storia degli anni 1861-1862 di Petrucci è caratterizzata da poche chiarissime componenti: le nuove tasse e la leva obbligatoria imposte dai Savoia scatenano la reazione criminale di un nucleo di cittadini delusi dal cambiamento per cui hanno combattuto.
Il banditismo sociale che imperversò nella giovane Italia ebbe probabilmente un ruolo ricco di sfumature: da un lato vessò esseri umani innocenti, dall’altro forse riuscì a rappresentarne i sogni più audaci. Terenzio Grossi appare allora come un lontano parente incolto di Robin Hood, attento alle ragioni dei più deboli ma pronto a sparargli qualora sia necessario.
In un anno e mezzo assistiamo all’ascesa e al crollo della banda del Grossi, 17 mesi passati nell’entroterra marchigiano e segnati dall’omicidio di un manipolo di poliziotti: dopo il 17 Ottobre 1861 niente è più come prima, l’affronto fatto allo Stato è davvero troppo grande per sperare di farla franca. Immersi in una spirale di violenza e paura sempre più alienanti, i banditi perdono ogni certezza ed iniziano ad accusare una tremenda nostalgia verso quel po’ di terra, pane e sicurezza che hanno perso con la diserzione: gli ideali vengono rapidamente sopraffatti dal rimpianto ed il tradimento è dietro l’angolo.
Il tratto ed il colore di Michele Petrucci sottolineano mirabilmente l’aridità che caratterizza personaggi ed ambienti: gli splendidi scenari marchigiani sono del tutto inospitali e gli esseri umani (indossano abiti policromatici ed hanno visi bianchi come la neve) assomigliano a fantasmi errabondi.
Il brigante Grossi e la sua miserabile banda analizza freddamente la varietà di pulsioni che animò un manipolo di contadini mentre nasceva la Nostra nazione: dai nobilissimi sogni di rivoluzione ed emancipazione al più ferino istinto di sopravvivenza.
Terenzio Grossi è un protagonista più che perfetto: ha vissuto al di fuori di ogni regola, quindi è stato venduto ed ucciso dal suo vice.
Autore: Michele Petrucci
Titolo: Il brigante Grossi e la sua miserabile banda
Editore: Tunué
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 14,70 euro
Pagine: 108
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