Considerato già da molti come il miglior libro italiano di narrativa, “Sangue di cane“, (Laurana, 2010) della giovane scrittrice siciliana Veronica Tomassini, si rivela senza alcun dubbio come una delle più grandi novità del momento per la sua straordinaria ed eccezionale capacità di togliere il fiato a colui che legge, seducendo con una scrittura nuova, senz’altro feroce e graffiante, dura e realistica come quella utilizzata dall’autrice.
Il suo modo di narrare e raccontare, di parlare e gridare al grande pubblico al quale lei si rivolge, è infatti una continua denuncia sociale, non soltanto un modo per esprimere emozioni ma soprattutto un mezzo per tirar fuori dalla pancia tutte quelle parole e quei pensieri che spesso non trovano spazio altrove ai quali lei dà voce in modo quasi magistrale, con una bravura che a volte spiazza ed affascina al tempo stesso.
Le vicende narrate in “Sangue di cane” sono ambientate tra Siracusa e la Polonia; la Sicilia descritta dall’autrice però non è la solita vista e riletta, quella stereotipata e fatta di vecchi clichè, quella che solitamente viene presentata nei classici racconti meridionalistici ma è una Sicilia del tutto nuova, più autentica, vibrante, priva di fronzoli e vera nella sua cocente realtà; una Siracusa che mostra tratti comuni anche ad altre città, i tratti delineati infatti non sono stereotipati e propri della sola città siciliana ma rappresentano e caratterizzano più realtà contemporanee.
La storia narrata è sempre al centro dell’interesse del lettore, la Tomassini la narra attraverso la voce della sua giovane protagonista utilizzando sempre un ritmo serrato e coinvolgente che accompagna pagina dopo pagina il lettore, conducendolo per mano in un vortice di emozioni fatte anche di parole forti e crude, dirette ed immediate.
Attraverso la lettura si evince la grande e forte esigenza, da parte dell’autrice, di fare della scrittura la sua valvola di sfogo, quasi fosse un’urgenza di dire, un’esigenza di trasmettere e dare vita alle parole attraverso i personaggi; è questa la sua grande forza, spaziare con le parole tra affascinanti scenari gotici e incursioni oniriche che rendono quasi ipnotica la lettura. Splendido il modo in cui rende le sue descrizioni, delineando il volto di una Siracusa che da lei viene così descritta:
“Un paesaggio grigio e triste, grigio nella sostanza, perché poi c’era la luce paglierina a inondare di falso gaudio marine e angiporti; era la luce che confondeva i pensieri che tristi erano tristi; come d’altro canto la gente che scorgevo china e muta, mai un sorriso, accidenti. C’erano le panche di ferro, impiastrate di terriccio e di guano delle colombe; c’era quel preciso tramonto, c’era un tempo speciale che volgeva, c’era un profumo speciale di menta e salsedine. Seduti osservavamo incantati le manovre di attracco dei diportisti”.
Una scrittura incisiva che sorprende ad ogni pagina, innovativa e sconvolgente nel linguaggio e nei temi trattati, un romanzo che prende dentro, ricco di immagini dalla straordinaria forza evocativa, nato anche dalla rievocazione di alcune importanti esperienze autobiografiche dell’autrice.
“Sangue di cane” mescola più cose insieme ed è anche la storia di un amore impossibile ma autentico, la storia di una giovane donna che si innamora di un uomo polacco senza fissa dimora; da quel momento per lei sarà l’abisso. Da leggere tutto d’un fiato lasciandosi catturare senza remore dalle emozioni che nascono d’istinto e dallo straordinario potere delle sue parole, spesso taglienti come non mai.
“Io stavo con Slawek, Slawek Raczinsky di Radom, Polonia. Mi ci portò Slawek in quel posto di merda, una casa a due piani, zona residenziale, bordello con mignotte dell’est, cuscini a forma di cuore, camere personalizzate, condom personalizzati, fellatio personalizzate. I pidocchi li presi prima comunque. Ero una ragazzina nei modi, e forse anche una donna. Perché avevo ventidue anni. Statura media, carina sguardo acquoso, gambe fragiline, magre troppo magre, taglia seconda di reggiseno. Capelli lunghi. Scuri. Graziosa. Italiana. Di Siracusa. Stavo con un polacco di nome Slawek, professione: semaforista.“
“Requiem polacco. Requiem di cani bavosi, di fango sui denti. Bastava guardare nell’abisso per essere inghiottiti, bisognava non guardarci più, ma era una tentazione, la più subdola, scrutare nella sacca dell’Ade e scorgere il mio cherubino sul precipizio, le sue ali mortificate da un sogno esacerbato. Ora rimpiango la mia saga polacca, mi manca il terreno sotto i piedi. Sono pazza, Slawek. Ho sognato Oscar, l’altra notte, il rom, l’efebo. Non pioveva, sai, eravamo sulle colline di Sarajevo, non sentivo i cecchini, stordita dal silenzio dei Balcani, cantavo tradita da una specie di golem a metà tra riso e pianto. Non posso ignorare la straordinaria somiglianza, stesso modo di accorrere alla sventura, tu e lui, di scoprirsi l’addome dinanzi alla disdetta. Uno sputo di bile per salutare la morte degli altri.”
Veronica Tomassini, giornalista siciliana ma di origine umbra, vive a Siracusa e scrive per il quotidiano “La Sicilia”. Ha pubblicato “L’aquilone” (Emanuele Romeo, 2002), “Outsider” (A&B editrice, 2006) e “La città racconta. Storie di ordinaria sopravvivenza” (Emanuele Romeo Editore, 2008). Ora in libreria con il suo primo romanzo “Sangue di cane” edito dalla neonata casa editrice Laurana, nata da un’idea di Calogero Garlisi, amministratore delegato di Melampo.
Autore: Veronica Tomassini
Titolo: Sangue di cane
Editore: Laurana
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 16 euro
Pagine: 232
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